Oggi invece facciamo uno strappo alla regola e ci lasciamo attrarre dalla pizzeria sotto al nostro hotel. Oddio, rispetto alla simil-cartonata-surgelata che ci hanno propinato ad Adelaide, il prodotto che abbiamo degustato assomigliava assai di più al nostro piatto tradizionale. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla location: il patio esterno è tutto esaurito, quindi ci sbattono su di un tavolino interno, a ridosso del forno, un caldo orrendo che ci toglie qualsiasi desiderio di cibo e di baldoria. Usciamo a rivedere le stelle con malcelato sollievo.
martedì 22 dicembre 2009
Capitolo 45 Trionfo di sapori
mercoledì 25 novembre 2009
Capitolo 44 I fantasmi dell’ Opera House
Dopo questa clamorosa figuraccia sentiamo la necessità di tuffarci in mezzo alla folla per mimetizzarci. Facciamo una rilassante passeggiata sulla promenade che porta all’ Opera House, per dar modo alle nostre guance di perdere il rossore diffuso. Un salto all’interno di questo celebre teatro ci permette di ammirarne l’avveniristica architettura, che peraltro non capiamo, e di apprezzarne il programma artistico dei prossimi giorni. Ovviamente nelle due serate che passiamo in città in cartellone è previsto un’entusiasmante novena natalizia, bambini vestiti da renne ed elfi riuniti in un coro di voci bianche raccapriccianti con contorno di buoni sentimenti. Se David Byrne non avesse avuto il cattivo gusto di performare giusto pochi giorni dopo la mia partenza, avrei reagito con sportività maggiore rispetto a quanto non ho effettivamente fatto.
Ma siamo in viaggio di nozze, siamo in Australia, il tempo è splendido e tutto va bene. Non ci facciamo certo indisporre da un cameriere troppo intraprendente, o dalla mancata coincidenza fra i miei impegni e quelli di un genio della musica. Alle spalle dell’ Opera House troviamo i Royal Botanic Gardens, una chiazza di verde intenso che declina verso il blu della baia senza darci l’opportunità di non visitarla. Questo immenso parco offre un perfetto connubio fra le molteplici specie animali che qui dimorano, i numerosi bipedi che qui ricercano pace e tranquillità dal logorio della vita moderna e le varie specie di alberi secolari che gettano un'ombra rinfrancante a beneficio di entrambe. Nel nostro incedere fra i vari sentieri dobbiamo fare attenzione a non investire varie intere famiglie di anatre intente ad insegnare ai propri pargoli l’attraversamento di carreggiata. Scegliamo una comoda panchina, è tempo di estrarre la reflex e catturare
qualche momento per le lunghe serate invernali che troveremo al ritorno.
Un albero attrae uno stormo di pappagalli variopinti e chiassosissimi. Una famiglia di gallinelle d’acqua intenta a costruirsi il nido presso una fontana. Un paio di candidi kakatua che brucano l’erba più o meno serenamente. Pazzesco. In pratica questo buffo e incazzosissimo pappagallino sceglie un filo d’erba e tenta strapparlo col becco. Non riuscendoci al primo tentativo si aiuta con una zampa, creando ridicole coreografie nel tentativo, spesso vano, di eseguire lo strappo senza perdere l’equilibrio. Ogni fiasco e conseguente caduta è accompagnato dall’equivalente aviario delle bestemmie da carrettiere, nella fattispecie dispiego della cresta gialla, sbattere di piume e poderosi schiamazzi a tutto becco.
A pochi metri da noi un gruppetto di studentesse è intento a fare capriole, incuranti del fatto che la divisa scolastica imponga loro la gonna. Attorno a loro vari gruppetti di sfaccendati, ognuno in qualche modo intento a non far capire il reale motivo della propria permanenza nelle vicinanze. Appena le ragazze cessano la loro ginnastica e se ne vanno, il prato si svuota. Procediamo all’interno del parco e visitiamo la parte dedicata al Giardino Botanico. Ci assale un odoraccio inequivocabile, praticamente in contemporanea con la consapevolezza che ciò che stiamo calpestando non è più semplice asfalto ma un orrendo miscuglio di guano, terriccio e foglie. Sui rami di alberi secolari e preziosissimi hanno trovato rifugio a centinaia gli indiscussi padroni del parco, uno stormo di “Grey Headed Flying Foxes”, in pratica enormi pipistrelli dalla testa vagamente simile a quella della volpe e dall’ imbarazzante apertura alare. Il cartello all’ingresso del parco ci avvertiva del fatto che la chiusura dei cancelli è fissata, per motivi di sicurezza, alle ore 20. Ingenuamente abbiamo pensato che tutto il mondo fosse paese, e che il parco di notte divenisse insicuro e territorio privilegiato di malfattori e malintenzionati. Non è così. Semplicemente al calar della sera queste simpatiche bestiole si levano in volo e iniziano i loro consueti giretti, per impollinare o procacciarsi il cibo, e rimanere nei paraggi in questi momenti non è troppo divertente.
Capitolo 43 XXX
Questa è una parte imbarazzante. A luci rosse, o quasi. D’altronde è il resoconto di un viaggio di nozze, una parte piccante dovevate pure aspettarvela. Ok, mettete a nanna i bimbi che andiamo ad incominciare.
Succede tutto nel pomeriggio. Dopo l’assalto al mercatino rionale e la meravigliosa crociera sulla baia. Ci siamo trovati sul molo con negli occhi ancora pieni delle meravigliose immagini della città che si affaccia sul mare, nonchè le mani piene di pacchi e pacchettini per lo shopping natalizio mattutino. A quel punto decidiamo di riportare la mercanzia in albergo, dato che la distanza che ci separa da quest’ultimo è molto breve, in modo da riottenere la libertà degli arti per il pomeriggio che segue. Entriamo in camera per quella che nelle intenzioni doveva essere una sosta breve e veniamo colti da una “stanchezza subitanea e imprevedibile” , che ci spinge verso la branda senza ammettere discussione alcuna. In effetti il nostro ritmo sino a quel momento era stato assolutamente da primato per quanto riguarda spostamenti e concessioni al riposo, e la mia natura di bradipo urlava già da qualche giorno, soprattutto dopo la levataccia per assistere all’alba nel deserto. Insomma, una veloce pennichella pomeridiana cullati dai rumori del mare, che si insinuano piacevolmente fra le imposte sulle ali di una fresca brezza….priceless!
E fin qui tutto bene, niente di scandaloso, direi. Il problema è che avremmo fatto decisamente a meno di quanto è successo poi. Con la scusa che eravamo entrati in camera solo per appoggiare i pacchetti abbiamo colpevolmente omesso di apporre alla porta d’ingresso il pratico cartellino che invita a non disturbare. Decisamente un errore. Neanche a farlo apposta io e la mia signora ci svegliamo di buon umore dopo la rinfrancante siesta, e decidiamo di rubare un altro po’ di tempo alla visita della città. Ma nel bel mezzo del nostro intrattenerci ci piomba nella stanza un solerte cameriere deciso ad ispezionare la regolarità del nostro frigobar. Bussa in maniera non troppo convinta ed entra col passepartout, immaginando di non trovare nessuno. Per nostra fortuna fra camera e porta d’ingresso c’è un corridoio cieco entro quale le nostre urla di sdegno lo bloccano, mentre voliamo discinti nel piccolo ma pratico bagno. Non pago di averci inflitto già un umiliante interruzione, il ragazzotto proprio non accenna ad andarsene senza prima aver svolto il compito per il quale è entrato, e a nulla sembrano servire le nostre vibranti proteste da dietro la provvidenziale porta dei servizi. Per uscire dalla situazione di stallo Barbara mi incoraggia ad essere uomo, e ad uscire ad affrontare lo sbarbatello con le nudità nascoste da un asciugamano. Le faccio rispettosamente notare che, nelle mie condizioni, un asciugamano tenderebbe più ad accentuare il problema che non risolverlo.
La necessità, e il crescente disagio, rendono il mio inglese molto più convincente, o forse lo diventa solo il tono con cui le parole mi escono, fatto è che l’importuno cameriere accetta a malincuore di attendere fuori dalla stanza che noi ci si rimetta in ordine. Indosso dei vestiti a casaccio e lo faccio entrare a controllare il suo dannatissimo frigo, fra sorrisini imbarazzati da ambo le parti, e la ridicola presenza di mia moglie barricata nel bagno. Inutile dire che il cameriere è stato lo stesso che per tutta la durata del nostro soggiorno ci ha servito la colazione al mattino. Quindi la quinta cosa da fare assolutamente a Sydney non può che essere
5. Ricordarsi di appendere il Do not disturb alla porta!
martedì 15 settembre 2009
Capitolo 42 E cinque cose da fare ASSOLUTAMENTE a Sydney part 3
4. Fare dello shopping mirato
Dopo tanti giorni spensierati giunge alfine il momento di iniziare a pensare a quel che ti attende quando farai ritorno. E’ blasfemia dover pensare a tutto ciò mentre sei ancora immerso nell’atmosfera gioiosa della metropoli, ma quando a casa ti attendono orde di parenti e amici famelici di souvenirs e regalini vari, organizzare una giornata di shopping mirato è assolutamente necessario. Per mia fortuna la donna che ho sposato è cintura nera di organizzazione, sia che si tratti di gestire un viaggio di nozze dall’altra parte del mondo, sia che la missione sia far coincidere l’esplorazione della città con una puntata nei negozi che sembrano interessanti. E’ per questo che di Sydney porterò sempre con me le immagini della baia, della splendida Opera House, del Harbour Bridge, dell’acquario e dei superbi centri commerciali!
Fra i regali che devo assolutamente recuperare spicca la curiosa richiesta di un amico. “Sei in una terra ricca di tradizione rugbystica. Vedi se riesci a procurarti la maglietta n.7 dei Cruzeiros, ci terrei molto!” E io, da bravo bambino giro per la città fermandomi ad ogni negozio sportivo. In uno di questi trasmettono in differita una partita della Roma. Sono lontano dalle vicende sportive del mio paese da due settimane, e qui addirittura mi fanno vedere la Magica! Tergiverso con maglie, felpe e cappellini per una mezz’ora buona, facendo la disperazione di commessi e moglie, solo per riuscire a vedermi la fine del match, rischiando di scoprire il mio gioco esultando smodatamente quando, al novantesimo passato, i giallorossi segnano il gol della vittoria. Ma se con il calcio ho fortuna, con il rugby sembra non esserci trippa per gatti. E sì che in esposizione ci sono maglie di club di ogni genere, misura e disciplina sportiva. Ma quando chiedo la maglietta dei cruzeiros i commessi scrollano le spalle e se ne vanno seccati. Ingenuamente credo sia orgoglio, cioè probabilmente a loro non sta bene che nei loro bellissimi e fornitissimi negozi sportivi arrivi un italiano e chieda giusto l’unica maglia che non hanno, quindi se ne vanno perché sono troppo educati per mandarmi a remare in modo inequivocabile. Poi finalmente, arrivato al decimo negozio, un commesso si fa coraggio e mi spiega che non tengono le maglie delle squadre straniere.
Cioè…io ho girato per la capitale (di fatto!) australiana chiedendo la maglietta di una squadra neozelandese. Anzi peggio. Io chiedevo a gran voce la maglietta del capitano della nazionale neozelandese nei negozi del centro di Sydney. Un po’ come recarsi a Milanello e chiedere l’autografo di Materazzi. Ci credo che tutti mi guardassero male!
mercoledì 9 settembre 2009
Capitolo 41 E cinque cose da fare ASSOLUTAMENTE a Sydney...part 2.
3. Fare i turisti della domenica
La totale assenza di schiamazzi notturni, e una piacevole e fresca brezza oceanica ci spingono a tenere le finestre spalancate durante il riposo notturno. In tal modo, allo spuntare dell’alba,abbiamo modo di apprezzare i preparativi, l’allestimento e il successivo svolgersi del simpaticissimo e chiassosissimo mercatino del quartiere, che, manco a dirlo!, ha il suo naturale epicentro giusto nella via sotto il nostro hotel. A quel punto il demone dello shopping, tenuto faticosamente a bada (tranne qualche sparuto caso) durante le nostre scorribande, si impadronisce della dolce metà, la quale, non paga dell’ avermi buttato fuori dal lettone ad orari improponibili, si getta fra gli stand sventolando valuta di ogni nazionalità.
Parecchio tempo e denaro dopo, il demone viene placato e, carichi di sporte di ogni peso e misura, ci rechiamo a quello che è supposto essere il main event della giornata, ovvero la crociera sulla baia. Devo ammettere che quando ce l hanno proposto avevo storto parecchio il naso prima di accettare l’idea. La crociera, complice il lavoro che faccio, mi sembra un modo di viaggiare vecchio e noioso, in poche parole poco adatto a noi. Mi sbagliavo. Il tour in nave per tutta la baia è il modo migliore per farsi l’idea della città, e per goderne appieno la bellezza. Poi ci sono modi e modi di vivere la medesima esperienza, e il poterli studiare farebbe la gioia di qualsiasi antropologo. Il costo del biglietto copre un giro di un paio d’ore lungo le insenature di Sydney e un sostanzioso buffet sottocoperta. Dopo pochi minuti inizio a sospettare che quest’ultima sia l’attrazione principale per la maggior parte dei partecipanti. I tavoli del cibo sono presi d’assalto a più e più riprese, gli sguardi sono rapiti più dal crostaceo che non dalle vetrate fuori dalle quali scorrono le meraviglie della città, il numero dei camerieri impegnati è tre volte maggiore quello dei marinai, la qual cosa, non so perché, mi agita.
Dopo essermi anch’io abbondantemente rifocillato, non intendo negarlo, salgo sul ponte esterno per una sessione estrema di fotografia. Del centinaio di partecipanti alla gita a raggiungerci all’esterno sono poco più di una ventina, la maggior parte famiglie con figli troppo piccoli per costringerli a stare seduti a tavola due ore.
lunedì 7 settembre 2009
Capitolo 40 E cinque cose da fare ASSOLUTAMENTE a Sydney
1. Trovare le migliori condizioni climatiche possibili.
Rimanendo nelle vicinanze dell’albergo abbiamo modo di visitare il porto vecchio. “The Rocks” era divenuto con gli anni il quartiere più malfamato della città. Negli anni settanta/ottanta si è assistito ad un’opera di risanamento energica e mirata, che ha portato alla scomparsa degli edifici fatiscenti e della malavita, e alla nascita del polo turistico che è oggi. Ceniamo in uno dei tanti ristoranti che si affacciano su questi stretti vicoli e ci lasciamo contagiare dal clima del saturday night del popolo del Nuovo Galles del Sud. Per tentare di digerire l’ennesima grigliata e i bicchieri di rosso locale, generoso ma traditore, passeggiamo senza una meta precisa nel dedalo di viuzze fino a sbucare nella splendida promenade che circonda la baia. Questo è lo spettacolo che ci si è presentato.
2. Tuffarsi nella Dolce vita.
Dopo lo spettacolo della luna piena sulla baia non c’è molto altro che potrei chiedere alla vita, almeno non nella stessa serata. E’ quindi con estrema soddisfazione che riportiamo le nostre stanche membra in hotel. Peccato che siamo gli unici a pensarla così, nel vicolo su cui le nostre finestre si affacciano è in pieno svolgimento la movida del sabato. Quindi nel tempo che impieghiamo a lavarci i denti e metterci in branda tutti i rumori e gli schiamazzi cessano. Ore 23.30. La serata è già finita. Ricapitolando:
· Ore 16.00 Fine lavoro.
· Ore 17.00 Fine Happy Hour.
· Ore 19.00 Fine cena.
· Ore 23.30 Fine Sabato sera
· Ore 24.00 Nanna.
Modesti? Forse. Il punto è che si divertono così, bevono fiumi di birra, ballano e si devastano come i loro coetanei di tutto il mondo. Con la differenza che al mattino dopo non devono necessariamente dormire fino al pomeriggio per recuperare il sonno perduto, e possono correre a far surf appena il sole si leva.
giovedì 27 agosto 2009
Capitolo 39 Cinque cose da NON fare a Sydney
1. Non dare troppe informazioni alle guide.
Appena scesi dall’aeroplano abbiamo chiesto informazioni per dirigerci al nostro albergo. In Australia anche l’impiegato più meschino e umile si sente in dovere di intrattenerti mentre sbriga le tue pratiche, quindi il motivo del nostro viaggio salta fuori due o tre volte al giorno. Solo che la sagoma in questione non si accontenta di farci un sacco di complimenti e di augurarci ogni bene. No, lui molla lo sgabbiotto delle informazioni e ci mena di persona al terminal del nostro pulmino, infastidendo gli altri passeggeri con i dettagli della nostra vacanza.
2. Non prendere il bus navetta di quel tizio.
Mi piacerebbe ricordare il nome dell’autista e della sua compagnia, perché è stato veramente l’unico vero stronzo autoctono incontrato. Questo dato di fatto oggettivo, unito al fatto che dopo dieci minuti di sproloquio sul nostro conto io stesso ne avrei avute le scatole piene di me medesimo, fa sì che, dopo aver gettato di malagrazia i nostri bagagli nel container, si rifiuti di ascoltare la nostra destinazione finale e parta verso la città a tutta birra. La situazione all’interno del pulmino è dunque questa: nessuno ha mai incontrato uno stronzo in Australia e nessuno ha mai viaggiato verso Sydney a 100 all’ ora, smadonnando verso ogni altro autoveicolo. Ad ogni fermata scende una coppia che ringrazia Dio di essere viva e se ne va senza salutare l’idiota alla guida e gli italiani in viaggio di nozze, rei, loro malgrado, di averlo inacidito a tal punto.
3. Non farsi prendere dal panico.
Ricapitolando: sono sveglio dall’alba. Ho preso un volo di tre ore, di cui gli ultimi quindici minuti sono stati fra i più brutti della mia esistenza. Sono vivo per miracolo ma l’autista sembra intenzionato a rimediare a questo errore cosmico. Se non m’ammazza la sua guida lo faranno gli altri passeggeri, nel comprensibile tentativo di guadagnarsi la sua simpatia. In questo clima d’odio che si respira in cabina non v’è da stupirsi se decido di scendere alla prima occasione propizia. Il pulmino ferma nei pressi di un hotel. Guardo il nome della via, e Diamine!, è proprio quella del mio Hotel! Chiaro come il sole, lo stronzo manco ci avvisa che siamo arrivati, e già si sollazza all’idea di portarci in giro per tutta la città, fino a trovare un angolino riparato dove, con la complicità del buio ormai calato, fare orrendo scempio delle nostre membra. Hai fatto male i tuoi conti, scampaforche! Mia moglie riposa tranquilla sul sedile posteriore, dopo avermi implicitamente affidato la sua sicurezza e la nostra destinazione finale. Non ti deluderò tesoro!! Trascino Barbara giù dalla trappola infernale, recupero i miei bagagli e zittisco le proteste dell’autista assassino. Se ne va scrollando le spalle. E’ finita maledetto sociopatico, non ci avrai, rassegnati con dignità.
4. Non… (non voglio rovinarvi la sorpresa!)
Barbara dormicchiava. Ha una certa stanchezza accumulata, un po’ di tensione per l’atterraggio mista allo sgomento per la guida del nostro mancato carnefice. La strappo al suo riposo e questo non le giova. La abbandono momentaneamente di fianco ai bagagli, sperando se ne curi. Un giovinastro in divisa approfitta del suo evidente stato confusionale e le ghermisce le valige. E’ troppo. Una vena blu inizia a pulsarle sotto la pelle trasparente della tempia. Inizia a sbuffare e a battere il selciato con lo zoccolo, come un toro che si prepara a caricare. Per fortuna la lucidità torna a farsi strada nel provato cervellino e il massacro non avviene.
A parziale scusante di quanto sin qui avvenuto, e di quanto andrò a narrare di seguito, devo qui elencare un paio di quelle che in tribunale verrebbero chiamate circostanze attenuanti. Sydney è la penultima tappa del viaggio. Se avete seguito le nostre avventure sin qui saprete che non ci siamo concessi granché in fatto di lussi e comodità, soprattutto in fatto di hotel e ristoranti. Ecco perché quando si è trattato di scegliere l’ ultimo alloggio (l’ultima tappa è sull’isola, c’è un solo resort, tutto da descrivere, quindi l’ultimo albergo da scegliere è stato a Sydney.) ci siamo concessi la prenotazione presso una catena importante.
Un inserviente che ci raccoglie il bagaglio non l’abbiamo mai trovato. Ecco perché Barbara si prepara alla pugna, salvo poi desistere quando ricorda l’equazione Sydney = albergo figo. Facciamo così il nostro trionfale ingresso all’ Hilton. Il lusso delle rifiniture si unisce allo sfarzo degli ospiti vestiti in pompa magna. In fondo è sabato sera, siamo sotto Natale, la cena aziendale di fine anno negli hotel più rinomati è un classico. E noi siamo arrivati qui dritti dal deserto, bermuda e scarpe da ginnastica, sporchi e pieni di polvere rossa fin sui capelli. Corriamo alla reception intimoriti e fuori luogo come raramente ci è accaduto in vita. Troviamo un ragazzino compito e gentile di non più di vent’anni, quindi a sfoggiare il sorrisone e il blando inglese tocca alla signora. Tira fuori il book dei vaucher, estrae quello relativo a Sydney e glielo rifila, sperando di ottenere una stanza nel minor tempo possibile, in modo da poterci levare quanto prima dall’imbarazzante situazione. E ovviamente il giovanotto sparisce. Dopo cinque minuti, in cui tutti quelli che transitano per la hall, compresi sindaco e assessore alla cultura, sentono il desiderio di umiliarci per la nostra orrenda condizione, torna con una piantina della città in mano. “Ecco, noi siamo qui, voi dovete andare qui, vedete la strada è quella giusta ma è parecchi isolati da qui, vi conviene chiamare un taxi…”. Mi sa che l’inglese di Barbara peggiora quando ha sonno. Intervengo: “No vede, noi abbiamo la prenotazione, qui dice hotel Holiday Inn, George Street, Bonazzi, honeymoon ecc. ecc.” “Appunto!”
Ah, ok, forse ci sono…la strada è giusta, ma c’è un altro albergo più avanti, Hilton è una super catena, ce ne saranno due o tre qui a Sydney, siamo scesi a quello sbagliato, sfortunella!
“No mister, the name of the street is correct, but..” “But???” “The reservation is for Holiday Inn. This is HILTON!”
La quarta cosa da non fare a Sydney è quindi: Non confondere un hotel per un altro, cribbio!
5. Non lasciare che l’ orgoglio prenda il sopravvento.
Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio il consierge prende in mano la situazione e ci mostra dove dobbiamo andare. Perfetto, tutto chiaro, ora dobbiamo solo recuperare i nostri bagagli dalle mani dei fattorini. Non contenti della grassa figura rimediata dobbiamo pure spiegarla alla bassa manovalanza per riavere ciò che è nostro. Come ampiamente comprensibile ci scherzano per un quarto d’ora, supplicandoci di rimanere lì nonostante tutto, dal momento che ”Holiday inn sucks!” Alla fine hanno pietà di noi e ci rendono le borse, offrendosi di chiamarci un taxi. E lì, non pago della mia già pietosa condizione, ho un sussulto d’orgoglio e rifiuto. Non saranno un paio di isolati a piedi a spaventarci, non dopo questa orrenda giornata.
Lascio alla cartina il compito di spiegare cosa ha comportato questa sciagurata decisione. Google maps mi dà una distanza da un hotel all'altro di 1,2 km, pari a trenta minuti di cammino in parziale salita, un afoso pomeriggio estivo, vestiti di tutto punto, zaino in spalla e trascinando due borsoni da venti chili. Una volta arrivato all Holiday Inn non avevo più il coraggio di entrare!
martedì 25 agosto 2009
Comunicazione di servizio
mercoledì 19 agosto 2009
Capitolo 38 Terrore a bassa quota
martedì 18 agosto 2009
Capitolo 37 Picnic ad Ayers Rock.
L’ immediato autocostituentesi comitato degli italiani all’estero organizza tosto una meravigliosa grigliata per la serata, per dar modo a quella minima parte di turisti, che ancora non s’è accorta che qui ci sono degli italiani in vacanza, di ascoltarli nella celebre versione della serale caciara di gruppo. A malincuore, ma molto a malincuore siamo costretti a rinunziarvi. E’ un dolore che porterò sempre con me. Chiudiamo nuovamente le nostre valige e scendiamo a cena protetti dal crepuscolo per non farci vedere. Prima di ritornare in camera propongo un giro notturno attorno al resort per godere della luna nuova, ma un paio di urlacci di mia moglie, uniti a quelli in lontananza di chissà quale fiera mi convincono a saltare anche quell’esperienza. Per fortuna non mi perdo un’eccitante sveglia alle 3.30 del mattino, uno di quei sottili piaceri che mi spinge ad ululare come un dingo per la felicità
Il ritrovo è fissato alle 4 del mattino di fronte al resort. Uno stupendo cielo stellato e un freddo apocalittico fanno da cornice ad un gruppo di zombie che scambiano a malapena quattro parole e attendono i caldi e confortevoli sedili del pulmino come un bambino attende il gelato. Ci scarrozzano fino ad Uluru e ci mollano ai piedi della roccia sacra, appena in tempo per godere dei primi raggi del sole nascente. Un paio di puffi, leggi soliti cretinetti in gonnellina-infradito-canottierina, cianotici per il clima rigido, rientrano nel bus e non li rivedremo fino al solstizio. Priceless.
lunedì 10 agosto 2009
Capitolo 36 Passeggiata e tramonto ad Indastria.
Continuando il nostro percorso abbiamo modo di osservare le pitture rupestri degli aborigeni e passare vicino ai loro luoghi di culto. E’ semplice capire perché i primi abitanti di questo sterminato territorio abbiano da subito considerato sacre queste rocce, sia Uluru che i Kata Tjuta. Attorno non c’è nulla per chilometri, solo una sterminata piana desertica. Le uniche alture che spezzano un paesaggio altrimenti piatto e monotono sono visibili anche da molto distante. Le rocce sono rosso fuoco e cambiano tonalità a seconda di come la luce del sole le colpisce. Nel silenzio assordante dell’ Outback questo scenario scatenerebbe dubbi cosmici e quesiti teologi anche al più incallito degli atei.
martedì 4 agosto 2009
Capitolo 35 …però è fiorito e vitale!
Dopo aver finito i nostri giri ci ritroviamo a bordo piscina con i bagagli più pesanti e i portafogli più leggeri. Diamo la stura alla crema protezione 50, alla pratica cazzuola necessaria a spalmarla, e assaggiamo il sole del deserto. Si tratta di un vero e proprio battesimo del fuoco, poiché nel pomeriggio si parte per il tour delle Olgas. Il pulmino ci scarica ai piedi di questo sistema di monti che fanno parte della medesima formazione rocciosa della celebre Uluru o Ayers Rock. Il loro nome aborigeno, Kata Tjuta letteralmente significa “molte teste”, ed è infinitamente più poetico che non il banale nome della regina che governava il paese di origine del primo esploratore bianco che li raggiunse.
Scremate le mele marce, il gruppo procede nell’esplorazione delle “Molte Teste”. Attorno a noi non si scorge nulla per chilometri e chilometri. A parte i rilievi delle Olgas e Ayers Rock il deserto procede piatto come una pista di bowling, con l’eccezione di qualche sparuta acacia a frammezzare lo sguardo verso l’orizzonte. In compenso attorno a noi tutto pullula di vita. Rinvigoriti dalle piogge copiose delle ultime settimane fioriscono gli alberi e i cespugli. Nelle pozze dove si raccoglie l’acqua piovana sguazzano allegramente migliaia di girini. Fra le pareti a picco attorno a noi rimbalzano echi di vari versi di uccelli. La nostra solerte guida passa fra le varie coppie proponendo soggetti da fotografare e offrendosi per scattare foto ricordo. Nelle sue parole lo stesso compiacimento nostro nel vedere il deserto così vitale e così fiorente. Un inaspettato colpo di fortuna.
mercoledì 8 luglio 2009
Capitolo 34 Il deserto non è abbastanza deserto...
Veniamo smistati alla nostra camera, dove approfittiamo dei tre giorni di sosta nello stesso luogo( mai successo!) per fare un po’ di bucato e una doccia rinfrancante. Ovviamente nel momento di maggior insaponamento inizia a suonare l’allarme antincendio, e mi tocca correre fuori vestito di solo asciugamano, suscitando il ribrezzo di una coppia di giapponesi. Il problema è che dopo giorni di viaggio in località deserte, trovarsi nel deserto ma circondati da turisti di ogni nazionalità ci spiazza.Non sono più abituato a tanta gente nei bar, nei negozi,ovunque. E dopo solo poche ore già ho un forte impulso a tornare alla mia auto a nolo e alle mie strade sgombre del sudest australiano. A distrarci da questa condizione di autoflagellamento misantropo giunge inaspettato un magnifico tramonto, che squarcia le nubi temporalesche e ci invoglia ad una passeggiata fino al punto panoramico subito fuori dal resort. Qui abbiamo il primo contatto visivo con la montagna sacra, incendiata dagli ultimi sprazzi di sole e con il sottofondo degli uccelli che si riaffacciano dai nidi dopo l’acquazzone. Che dire? Semplicemente un’ esperienza mistica.
2. “Il deserto? Bello, ma pensavo facesse più caldo!”
3. “Tra poco è Natale, ma come fai a sentirlo qui che è primavera?”
lunedì 29 giugno 2009
Capitolo 33 Piove sul centrale.
Recuperiamo l’auto e ci dirigiamo alla volta dell’aeroporto. Da che siamo atterrati in questo paese ci siamo abituati a dimensioni esagerate in ogni contesto, quindi non mi preoccupo troppo quando il mio navigatore satellitare biondo non mi indica tempestivamente la prima entrata utile per gli imbarchi. Bene, ci saranno altre occasioni immagino. E invece no. Dai finestrini vediamo sfilare l’intero complesso aeroportuale senza potervi accedere in alcun modo. Sono le ultime baruffe con il sistema di guida all’inglese, una volta superato lo scoglio dell’inversione di marcia e dell’ unica entrata disponibile ci tocca riconsegnare la fida autovettura al signor Hertz. E sono lacrime e stridore di denti, non solo perché ci separiamo da qualche centinaio di dollari australiani, ma anche perché ormai ci si era affezionati al veicolo. Ovviamente non si è fatto a tempo a darle una frettolosa pulita, quindi da sotto i sedili recuperiamo in velocità le mille bottigliette d’acqua sparse e le altre carabattole e raggiungiamo il check in.
Il nostro aereo ci porta all’ interno del continente, precisamente ad Alice Springs. Siccome siamo in pieno deserto è abbastanza inconsueto che appena il carrello si posa al suolo si scateni un furioso temporale, costringendo uno stuolo di hostess Quantas a venire a prenderci con gli ombrelli. Due ore di attesa fra un volo e l’altro, due ore di tuoni e lampi. Giriamo per il microscopico aeroporto fino a stufarci di vedere i più clamorosi esempi di arte aborigena falsa sparsi ovunque nelle poche boutiques. Molto più coinvolgente è incontrare per la prima volta dei veri aborigeni, intere famiglie che attendono il nostro stesso volo per tornare a casa. Il temporale non ci dà tregua nemmeno all’imbarco e ci segue fino ad Ayers Rock. Mezz’ora di tragitto col naso incollato al finestrino, a vedere l’acqua raccogliersi in tanti ruscelli istantanei e percorrere una terra rossa come fuoco, rossa come i campi da tennis che calpestavo con disarmante agilità da ragazzo, o che meno prosaicamente osservavo in tv. E’ proprio questo il paragone più immediato che mi affiora vedendo lo spettacolo che si delinea sotto la fusoliera del velivolo. I campi da tennis del Roland Garros. La voce di Rino Tommasi che descrive la pioggia sul centrale parigino. Solo che nella capitale francese le gocce d’acqua non cambiano il paesaggio radicalmente come avviene qui. Sotto di noi il deserto prende vita. L’ acqua risveglia le piante nascoste sotto la dura scorza del deserto, e laddove corrono i torrenti è tutto un fiorire e un germogliare di verde, di ogni forma e dimensione, acceso e violento come il rosso della terra con cui contrasta. E’ uno spettacolo magnifico, e sono quasi dispiaciuto di dover atterrare.
giovedì 25 giugno 2009
Capitolo 32 LA PIZZA
- Ho visitato la parte nord di Kangaroo Island
- Ho affrontato quella che a tutti gli effetti può essere considerata una traversata oceanica
- Ho visto i canguri
- Ho guidato per Adelaide
- E, last but not least, mi sono concesso un bagno caldo e rilassante nella supermegaipefashiondesigndiblindaperdue toilette dell'albergo
giovedì 4 giugno 2009
Capitolo 31 Adelaide vista di striscio.
martedì 26 maggio 2009
Capitolo 30 Come passare dall’Isola dei Canguri ai canguri veri e propri.
Forti dell’esperienza dell’ andata scegliamo saggiamente di non pranzare prima di salire sul traghetto. Cappellaccio saldamente calcato in testa, travelgum come fossero mentine, ci inerpichiamo sulla poppa del transatlantico (In realtà sarebbe più un transIndiano…boh, vabbè..) e affrontiamo spavaldi la nuova pugna con la corrente oceanica. Drammatico. Il vento dell’est si incunea nello stretto fra la madre terra e l’isolotto ribelle, creando ondate alte, cupe e poco rassicuranti. Iniziamo a ballare da subito, le mani strette alle balaustre, macchine fotografiche e telecamere riposte in fretta negli zaini, le gambe arcuate il più possibile per garantirci un minimo di equilibrio. Dopo nemmeno metà traversata siamo già assai provati. Il resto dei passeggeri soffre sottocoperta, riempiendo pratici sacchettini d’ordinanza sui loro comodi sedili imbottiti. Grazie, preferisco di no. Preferisco stare all’aperto, con le onde che ti sferzano il viso, il vento che ti porta odore di mare, di iodio, di libertà. Non potrei mai fare il marinaio, sono evidentemente troppo a mio agio sulla terraferma che non su qualsiasi altro elemento, aria o acqua che sia. Però è fantastico poter sperimentare queste sensazioni, le stesse (in versione molto ridotta!) di chi esplorava i sette mari su fragili gusci di noce e combatteva ogni giorno per strappare alle onde la propria pellaccia, indurita dal vento di mille tempeste e dal sole di mille tramonti. Corpo di mille balene!
Finalmente attracchiamo a Cape Jarvis, e lentamente iniziamo le procedure per l’uscita delle macchine. Una solitaria foca viene a porgerci i suoi saluti sguazzando pigramente lungo le murate, come a ricordarci quale angolo di paradiso stiamo abbandonando. Plausibilmente a causa dell’infame traversata, e nonostante il sole abbi già passato lo zenit da un bel pezzo, i morsi della fame ancora non ci angustiano (forse perchè prima lo stomaco deve tornare al suo posto!), e decidiamo di imboccare la strada per Adelaide. Dopo un po’ troviamo uno spiazzo panoramico sull’ oceano, all’ombra di tre imponenti araucarie, e ci concediamo un pranzetto veloce. Fin troppo veloce, poiché le carezze del sole non consentono di mangiare chiusi in macchina, e un nugolo di mosche invadenti e affamate non ci permette di gustare il pasto in pace. Ripartiamo, io un po’ troppo alterato per quanto la situazione effettivamente meriti. Poi finalmente succede. Arriviamo alle porte di Adelaide, in uno di quei paesi satellite subito a ridosso delle grandi città. Accanto alla strada c’è un prato recintato e degli enormi eucalipti che assicurano gradite zone d’ombra per gli animali. Questo è appunto il motivo che ha spinto un bel branco di canguri a trovarvi rifugio in questo torrido pomeriggio estivo. Li abbiamo cercati nelle zone più assurde, perdendoci in sentieri improbabili e lontani il più possibile da qualsiasi vestigia di civiltà, per trovarli in gran numero, con cuccioli al seguito a due passi dalla metropoli. E’ la terra dei contrari, e l’animale simbolo non poteva costituire un’ eccezione.
mercoledì 20 maggio 2009
Capitolo 29 Chi di fari ferisce..
Lei: Diciassette dollari di faro fragilissimo, da incastrare in qualche modo in valigia e riportare in patria.
mercoledì 13 maggio 2009
Capitolo 28 Parata notturna di pinguini.
Mentre attendiamo di uscire veniamo parcheggiati all’interno del piccolo museo, dove è possibile apprendere alcune nozioni base mediante appositi percorsi visivi e soprattutto ammirare la vita di questo tratto di mare grazie a rudimentali ma affascinanti acquari. Finalmente arriva il momento di uscire e affrontare la fredda serata. A condurci è uno sbarbatello ventenne, volontario come tutto il resto dello staff, che ci diffida dal fare foto col flash e dallo spaventare in alcun modo gli animali. Le nozioni di biologia pinguina conosciute da Barbara sono, con ogni probabilità, maggiori rispetto a quelle del nostro imberbe Cicerone, ma evidentemente il suo spirito di contraddizione è in modalità on perenne solo con lo sventurato e novello marito, mentre si beve affascinata qualsiasi stupidaggine proveniente da un facsimile di guida indigena. Le nuvole coprono interamente la luna, e gli schivi animaletti se ne stanno belli chiusi nei loro nidi riparati dal vento, alla faccia di coloro che hanno affrontato viaggi intercontinentali pur di vederli.
Per fortuna il tempo gioca a nostro favore. Infatti questo è l’orario in cui gli adulti rientrano dalla giornata di pesca e chiamano i cuccioli sul bagnasciuga per dividere con loro il frutto delle loro fatiche. Dal mare iniziano a sentirsi i primi richiami e i piccoli lasciano finalmente i loro accoglienti ripari attratti dall’ ancestrale prospettiva della pappa. Tramite uno speciale raggio di luce rossa, invisibile ai pinguini e pertanto non invasiva, la guida li segue mentre, goffi e irresistibilmente buffi, corrono su e giù per la spiaggia alla ricerca dei genitori. Questa particolare specie di pinguini raggiunge, in forma adulta, la non eccelsa altezza di trenta centimetri. Da cuccioli sono dei batuffoli lanuginosi alti poco più di due spanne, con un equilibrio instabile che ne contrasta la eccezionale voracità. Vedendoli mi sovviene che ieri, mentre mi approcciavo all’isola, dalla murata del nostro traghetto avevo intravisto una scheggia di color nero, e lunga pressappoco una trentina di centimetri, nuotare a velocità warp fra le onde dell’oceano. La differenza fra l’ agilità nel contesto marino rispetto alla goffaggine che li caratterizza mentre sono sulla terraferma me li rende ancora più simpatici.
L’escursione finisce e torniamo silenziosamente in città. Sono le 21.55 e il fornaio/pizzeria al trancio che avevamo puntato stamattina chiude fra 5 minuti. Se vogliamo cenare ci dobbiamo muovere spediti e senza esitare. Il paese è deserto, il vento fischia e tutti i negozi sono chiusi. Da bravi pescatori sono tutti già a nanna da un pezzo. Il fornaio ha le serrande già chiuse, sta spazzando il pavimento e i nostri sguardi imploranti non lo muovono a compassione. Torniamo rassegnati al nostro albergo. Il ristorante è già chiuso da ore, come sapevamo, e i tavoli sono già apparecchiati per il breakfast del mattino dopo. Rubiamo un paio di biscotti e ceniamo in camera con una bustina di camomilla saggiamente portata da Padova.
mercoledì 6 maggio 2009
Capitolo 27 I nostri nella Laguna Nera
· Ho fatto colazione nella miglior bakery della città, nonché unica, mentre i pellicani prendevano il sole a pochi metri da noi.
· Ho avvistato un paio di falchi, una deliziosa wallabee con cucciolo, una lucertola australiana di mezzo metro, tutti prima ancora di passeggiare a cinque metri da una colonia di foche.
martedì 28 aprile 2009
Capitolo 26 L'ammirevole Admiral’s Arch
Ci tuffiamo in auto, finalmente al riparo dagli elementi. Prima di uscire dal parco prendiamo un altro sentiero, un po’ troppo scosceso per la trazione del nostro mezzo, ma almeno ci permette di godere la visuale del promontorio da posizione più elevata. L’immagine di Cape du Couedic, con il suo maestoso faro che si erge in mezzo al nulla, circondato solo da nuvole minacciose rimarrà scolpita nella mia memoria a lungo.
mercoledì 15 aprile 2009
Capitolo 25 L’accoppiamento del Platypus
Purtroppo tutti i momenti più belli sono destinati a finire, e Barbara, dopo aver mandato a memoria ogni singola riga sul parco, decide di porre fine alla mia pennica e di trascinarmi in mezzo alla natura selvaggia. All’ingresso perdo subito mia moglie, che mi lascia in coda a versare il giusto obolo e a larghe falcate si dirige verso il centro informazioni per riempire quelle poche lacune che lo studio compulsivo di otto guide le hanno lasciato. La ritrovo con un libro di piante locali, con cui certo non è entrata, mentre smanetta su di un touch screen di nozioni botaniche. Ora, l’intero concept del giro informativo è studiato per i bambini: i seggiolini sono ad altezza bimbo, le manopole e i pulsanti dei vari schermi sono colorate e accattivanti, le gigantografie dei dinosauri e delle piante sono sistemati all’interno di un piacevole percorso didattico immediatamente comprensibile ai più piccoli. Ed infatti, alle spalle della mia invasata consorte si è formata una coda di 10 – 15 scolaretti, ordinatamente in attesa che la bambina più grande ceda loro il posto.
La strada principale del parco è anche l’unica che porti all’estremo sud dell’ isola. Da lì partono diversi percorsi tematici, ognuno dei quali ti permette di incontrare una particolare specie animale. Purtroppo la stagione degli amori e della deposizione di uova degli ornitorinchi è già iniziata, e, per motivi di privacy, il loro sentiero è chiuso. Ecco, lo sapevo. Se c’è un animale che ero veramente curioso di vedere, questo era l’ornitorinco. Già in natura è tutt’altro che facile osservarli, addirittura impossibile se non in questo continente. Arrivare in capo al mondo e trovarsi i percorsi a loro dedicati chiusi per accoppiamento è veramente una beffa.