Ci sveglia il solito vento che sibila fra le imposte. Ieri l’ho trovato molto naturalistico e romantico, oggi un po’ meno. Nonostante sia presto per partire, la cena saltata richiede adeguata contromisura e corriamo dal fornaio appena questi apre i battenti. Dopo esserci abbondantemente rifocillati facciamo una passeggiata per le vie della ridente cittadina. Ad attirare la nostra attenzione è uno di quei classici negozietti che si possono trovare ovunque nelle località di mare, una di quelle trappole per turisti autorizzate, con le sue vetrine decorate e souvenir di ogni tipo in bella mostra. Ad accoglierci al suo interno c’è una simpatica hippie sulla settantina, con lunghi capelli color cenere che le scendono disordinatamente sulle spalle, un curioso vestito a fiori, imperdonabile cliché, e una passione vera per il book sharing. Mentre cerco un adeguato tomo che mi possa far compagnia per tutta la seconda parte del viaggio, commetto l’errore di lasciare Barbara in sua compagnia, e quando lo realizzo è ormai troppo tardi. Mi presento alla cassa con un tascabile di Robert Ludlum che sembra aver passato più mani di una moneta, e che probabilmente vale ancora meno dei quattro dollari che spendo. Mia moglie arriva con un faro portachiavi di mezzo metro dal costo approssimativo ed esagerato di 17 dollari. Ricapitolando
Lui: Tascabile. Quattro dollari. Usa e getta.
Lei: Diciassette dollari di faro fragilissimo, da incastrare in qualche modo in valigia e riportare in patria.
Lei: Diciassette dollari di faro fragilissimo, da incastrare in qualche modo in valigia e riportare in patria.
Un vero affare.
La giusta punizione per l’incauta compagna arriva qualche ora più tardi, e nell’insospettabile forma di una scolaresca. C’è un sole splendido, il traghetto parte nel primo pomeriggio, abbiamo tutto il tempo per fare una breve deviazione verso Emu bay e andarci a rilassare in spiaggia. Arrivati al parcheggio non possiamo non notare i due pulmini pieni di bambini che ci affiancano. In un attimo, dalle portiere aperte si riversa una fiumana ridente e colorata che si appropria di ogni spazio attorno a noi. Mentre osserviamo i tentativi di maestri e genitori di ristabilire ordine e disciplina, una madre ritardataria sbaglia in pieno le misure del suo pick up, e abbatte la staccionata che delimita il parcheggio. La classe raggiunge il momento più alto di anarchia e ilarità.
Scappiamo verso la spiaggia, che fortunatamente è abbastanza ampia da permetterci di mettere una certa distanza fra noi e la truppa. Finalmente posso togliermi la soddisfazione di mettere i piedi nell’oceano e, di conseguenza, ghiacciarmi le ossa fino al midollo. Nel frattempo i bimbi apprendono sul campo quelle che riteniamo potrebbero essere rudimenti di vita acquatica, nella fattispecie gabbiani, alghe e conchiglie. Sarà il venticello, il rumore di sottofondo delle onde che si rompono placide, le grida dei bimbi e dei pennuti o semplicemente la somma delle mie maledizioni verso l’inutile faro, di fatto Barbara inizia ad accusare un lieve urgenza nelle zone basse. Nel tragitto che ci porta agli unici bagni della baia, i medesimi fattori scatenanti fanno evidentemente presa anche sulla scolaresca. Il problema è che loro hanno il vantaggio territoriale, essendosi accampati proprio presso le ambite toilettes. Morale? Per potersi liberare mia moglie deve attendere che lo facciano tutti i bimbi, e intendo tutti tutti, più le maestre, gli accompagnatori e gli autisti dei pulmini. Poi dicono che non c’è giustizia.
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