Arriviamo in albergo giusto in tempo per afferrare un biscotto al volo e per scegliere dalla valigia la felpa più pesante, dopodiché corriamo al molo dei pellicani, luogo ove sorge l'edificio della Marina, da cui partono i tour guidati per addentrarsi nella colonia di pinguini. E’ una frizzante seratina primaverile, spazzata dal consueto venticello da sud, latore di profumi marini, nubi minacciose, balsamico iodio e freddo polare. Al momento di registrarci scopriamo con orrore che la ragazzetta in prova come receptionist nel nostro hotel non ha passato la prenotazione per la gita di stasera ai gestori del parco. Brivido, terrore e raccapriccio, poi grazie ad una ragionevole guida autoctona e al fatto che Barbara porta tutti i vaucher relativi al nostro viaggio sempre con sé, quasi tatuati addosso come in Memento, la situazione si sblocca a nostro favore e veniamo ammessi allo show.
Mentre attendiamo di uscire veniamo parcheggiati all’interno del piccolo museo, dove è possibile apprendere alcune nozioni base mediante appositi percorsi visivi e soprattutto ammirare la vita di questo tratto di mare grazie a rudimentali ma affascinanti acquari. Finalmente arriva il momento di uscire e affrontare la fredda serata. A condurci è uno sbarbatello ventenne, volontario come tutto il resto dello staff, che ci diffida dal fare foto col flash e dallo spaventare in alcun modo gli animali. Le nozioni di biologia pinguina conosciute da Barbara sono, con ogni probabilità, maggiori rispetto a quelle del nostro imberbe Cicerone, ma evidentemente il suo spirito di contraddizione è in modalità on perenne solo con lo sventurato e novello marito, mentre si beve affascinata qualsiasi stupidaggine proveniente da un facsimile di guida indigena. Le nuvole coprono interamente la luna, e gli schivi animaletti se ne stanno belli chiusi nei loro nidi riparati dal vento, alla faccia di coloro che hanno affrontato viaggi intercontinentali pur di vederli.
Per fortuna il tempo gioca a nostro favore. Infatti questo è l’orario in cui gli adulti rientrano dalla giornata di pesca e chiamano i cuccioli sul bagnasciuga per dividere con loro il frutto delle loro fatiche. Dal mare iniziano a sentirsi i primi richiami e i piccoli lasciano finalmente i loro accoglienti ripari attratti dall’ ancestrale prospettiva della pappa. Tramite uno speciale raggio di luce rossa, invisibile ai pinguini e pertanto non invasiva, la guida li segue mentre, goffi e irresistibilmente buffi, corrono su e giù per la spiaggia alla ricerca dei genitori. Questa particolare specie di pinguini raggiunge, in forma adulta, la non eccelsa altezza di trenta centimetri. Da cuccioli sono dei batuffoli lanuginosi alti poco più di due spanne, con un equilibrio instabile che ne contrasta la eccezionale voracità. Vedendoli mi sovviene che ieri, mentre mi approcciavo all’isola, dalla murata del nostro traghetto avevo intravisto una scheggia di color nero, e lunga pressappoco una trentina di centimetri, nuotare a velocità warp fra le onde dell’oceano. La differenza fra l’ agilità nel contesto marino rispetto alla goffaggine che li caratterizza mentre sono sulla terraferma me li rende ancora più simpatici.
L’escursione finisce e torniamo silenziosamente in città. Sono le 21.55 e il fornaio/pizzeria al trancio che avevamo puntato stamattina chiude fra 5 minuti. Se vogliamo cenare ci dobbiamo muovere spediti e senza esitare. Il paese è deserto, il vento fischia e tutti i negozi sono chiusi. Da bravi pescatori sono tutti già a nanna da un pezzo. Il fornaio ha le serrande già chiuse, sta spazzando il pavimento e i nostri sguardi imploranti non lo muovono a compassione. Torniamo rassegnati al nostro albergo. Il ristorante è già chiuso da ore, come sapevamo, e i tavoli sono già apparecchiati per il breakfast del mattino dopo. Rubiamo un paio di biscotti e ceniamo in camera con una bustina di camomilla saggiamente portata da Padova.
Mentre attendiamo di uscire veniamo parcheggiati all’interno del piccolo museo, dove è possibile apprendere alcune nozioni base mediante appositi percorsi visivi e soprattutto ammirare la vita di questo tratto di mare grazie a rudimentali ma affascinanti acquari. Finalmente arriva il momento di uscire e affrontare la fredda serata. A condurci è uno sbarbatello ventenne, volontario come tutto il resto dello staff, che ci diffida dal fare foto col flash e dallo spaventare in alcun modo gli animali. Le nozioni di biologia pinguina conosciute da Barbara sono, con ogni probabilità, maggiori rispetto a quelle del nostro imberbe Cicerone, ma evidentemente il suo spirito di contraddizione è in modalità on perenne solo con lo sventurato e novello marito, mentre si beve affascinata qualsiasi stupidaggine proveniente da un facsimile di guida indigena. Le nuvole coprono interamente la luna, e gli schivi animaletti se ne stanno belli chiusi nei loro nidi riparati dal vento, alla faccia di coloro che hanno affrontato viaggi intercontinentali pur di vederli.
Per fortuna il tempo gioca a nostro favore. Infatti questo è l’orario in cui gli adulti rientrano dalla giornata di pesca e chiamano i cuccioli sul bagnasciuga per dividere con loro il frutto delle loro fatiche. Dal mare iniziano a sentirsi i primi richiami e i piccoli lasciano finalmente i loro accoglienti ripari attratti dall’ ancestrale prospettiva della pappa. Tramite uno speciale raggio di luce rossa, invisibile ai pinguini e pertanto non invasiva, la guida li segue mentre, goffi e irresistibilmente buffi, corrono su e giù per la spiaggia alla ricerca dei genitori. Questa particolare specie di pinguini raggiunge, in forma adulta, la non eccelsa altezza di trenta centimetri. Da cuccioli sono dei batuffoli lanuginosi alti poco più di due spanne, con un equilibrio instabile che ne contrasta la eccezionale voracità. Vedendoli mi sovviene che ieri, mentre mi approcciavo all’isola, dalla murata del nostro traghetto avevo intravisto una scheggia di color nero, e lunga pressappoco una trentina di centimetri, nuotare a velocità warp fra le onde dell’oceano. La differenza fra l’ agilità nel contesto marino rispetto alla goffaggine che li caratterizza mentre sono sulla terraferma me li rende ancora più simpatici.
L’escursione finisce e torniamo silenziosamente in città. Sono le 21.55 e il fornaio/pizzeria al trancio che avevamo puntato stamattina chiude fra 5 minuti. Se vogliamo cenare ci dobbiamo muovere spediti e senza esitare. Il paese è deserto, il vento fischia e tutti i negozi sono chiusi. Da bravi pescatori sono tutti già a nanna da un pezzo. Il fornaio ha le serrande già chiuse, sta spazzando il pavimento e i nostri sguardi imploranti non lo muovono a compassione. Torniamo rassegnati al nostro albergo. Il ristorante è già chiuso da ore, come sapevamo, e i tavoli sono già apparecchiati per il breakfast del mattino dopo. Rubiamo un paio di biscotti e ceniamo in camera con una bustina di camomilla saggiamente portata da Padova.
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