martedì 26 maggio 2009

Capitolo 30 Come passare dall’Isola dei Canguri ai canguri veri e propri.

Nel delirio di foche, pinguini, pellicani e quant’altro abbiamo clamorosamente mancato l’appuntamento con il vero re di quest’isola, colui che le dà il nome, l’animale che più di ogni altro incarna lo spirito di questo selvaggio continente. A parte un wallabee con cucciolo e uno spezzatino (senza polenta), non abbiamo visto l’ombra di un canguro in tutta Kangaroo Island. Da non poter tornare a casa per la vergogna! Lasciata Emu bay ci dirigiamo non troppo convinti verso Penneshaw, l’attracco del nostro traghetto. Lungo il cammino esploriamo qualsiasi deviazione che la strada ci presenti. Una di queste è uno sterrato stretto e angusto che conduce ad una spiaggia libera. Su ogni albero, ai lati della carreggiata, campeggiano cartelli fatti a mano dai bambini del luogo, in cui si avvertono gli automobilisti della possibilità dell’attraversamento marsupiali. Ma per quanto possiamo sforzare gli occhi non ne vediamo manco l’ombra, e ci tocca recarci all’imbarco con questo cruccio.

Forti dell’esperienza dell’ andata scegliamo saggiamente di non pranzare prima di salire sul traghetto. Cappellaccio saldamente calcato in testa, travelgum come fossero mentine, ci inerpichiamo sulla poppa del transatlantico (In realtà sarebbe più un transIndiano…boh, vabbè..) e affrontiamo spavaldi la nuova pugna con la corrente oceanica. Drammatico. Il vento dell’est si incunea nello stretto fra la madre terra e l’isolotto ribelle, creando ondate alte, cupe e poco rassicuranti. Iniziamo a ballare da subito, le mani strette alle balaustre, macchine fotografiche e telecamere riposte in fretta negli zaini, le gambe arcuate il più possibile per garantirci un minimo di equilibrio. Dopo nemmeno metà traversata siamo già assai provati. Il resto dei passeggeri soffre sottocoperta, riempiendo pratici sacchettini d’ordinanza sui loro comodi sedili imbottiti. Grazie, preferisco di no. Preferisco stare all’aperto, con le onde che ti sferzano il viso, il vento che ti porta odore di mare, di iodio, di libertà. Non potrei mai fare il marinaio, sono evidentemente troppo a mio agio sulla terraferma che non su qualsiasi altro elemento, aria o acqua che sia. Però è fantastico poter sperimentare queste sensazioni, le stesse (in versione molto ridotta!) di chi esplorava i sette mari su fragili gusci di noce e combatteva ogni giorno per strappare alle onde la propria pellaccia, indurita dal vento di mille tempeste e dal sole di mille tramonti. Corpo di mille balene!

Finalmente attracchiamo a Cape Jarvis, e lentamente iniziamo le procedure per l’uscita delle macchine. Una solitaria foca viene a porgerci i suoi saluti sguazzando pigramente lungo le murate, come a ricordarci quale angolo di paradiso stiamo abbandonando. Plausibilmente a causa dell’infame traversata, e nonostante il sole abbi già passato lo zenit da un bel pezzo, i morsi della fame ancora non ci angustiano (forse perchè prima lo stomaco deve tornare al suo posto!), e decidiamo di imboccare la strada per Adelaide. Dopo un po’ troviamo uno spiazzo panoramico sull’ oceano, all’ombra di tre imponenti araucarie, e ci concediamo un pranzetto veloce. Fin troppo veloce, poiché le carezze del sole non consentono di mangiare chiusi in macchina, e un nugolo di mosche invadenti e affamate non ci permette di gustare il pasto in pace. KangaroosRipartiamo, io un po’ troppo alterato per quanto la situazione effettivamente meriti. Poi finalmente succede. Arriviamo alle porte di Adelaide, in uno di quei paesi satellite subito a ridosso delle grandi città. Accanto alla strada c’è un prato recintato e degli enormi eucalipti che assicurano gradite zone d’ombra per gli animali. Questo è appunto il motivo che ha spinto un bel branco di canguri a trovarvi rifugio in questo torrido pomeriggio estivo. Li abbiamo cercati nelle zone più assurde, perdendoci in sentieri improbabili e lontani il più possibile da qualsiasi vestigia di civiltà, per trovarli in gran numero, con cuccioli al seguito a due passi dalla metropoli. E’ la terra dei contrari, e l’animale simbolo non poteva costituire un’ eccezione.

mercoledì 20 maggio 2009

Capitolo 29 Chi di fari ferisce..

Ci sveglia il solito vento che sibila fra le imposte. Ieri l’ho trovato molto naturalistico e romantico, oggi un po’ meno. Nonostante sia presto per partire, la cena saltata richiede adeguata contromisura e corriamo dal fornaio appena questi apre i battenti. Dopo esserci abbondantemente rifocillati facciamo una passeggiata per le vie della ridente cittadina. Ad attirare la nostra attenzione è uno di quei classici negozietti che si possono trovare ovunque nelle località di mare, una di quelle trappole per turisti autorizzate, con le sue vetrine decorate e souvenir di ogni tipo in bella mostra. Ad accoglierci al suo interno c’è una simpatica hippie sulla settantina, con lunghi capelli color cenere che le scendono disordinatamente sulle spalle, un curioso vestito a fiori, imperdonabile cliché, e una passione vera per il book sharing. Mentre cerco un adeguato tomo che mi possa far compagnia per tutta la seconda parte del viaggio, commetto l’errore di lasciare Barbara in sua compagnia, e quando lo realizzo è ormai troppo tardi. Mi presento alla cassa con un tascabile di Robert Ludlum che sembra aver passato più mani di una moneta, e che probabilmente vale ancora meno dei quattro dollari che spendo. Mia moglie arriva con un faro portachiavi di mezzo metro dal costo approssimativo ed esagerato di 17 dollari. Ricapitolando

Lui: Tascabile. Quattro dollari. Usa e getta.
Lei: Diciassette dollari di faro fragilissimo, da incastrare in qualche modo in valigia e riportare in patria.

Un vero affare.

La giusta punizione per l’incauta compagna arriva qualche ora più tardi, e nell’insospettabile forma di una scolaresca. C’è un sole splendido, il traghetto parte nel primo pomeriggio, abbiamo tutto il tempo per fare una breve deviazione verso Emu bay e andarci a rilassare in spiaggia. Arrivati al parcheggio non possiamo non notare i due pulmini pieni di bambini che ci affiancano. In un attimo, dalle portiere aperte si riversa una fiumana ridente e colorata che si appropria di ogni spazio attorno a noi. Mentre osserviamo i tentativi di maestri e genitori di ristabilire ordine e disciplina, una madre ritardataria sbaglia in pieno le misure del suo pick up, e abbatte la staccionata che delimita il parcheggio. La classe raggiunge il momento più alto di anarchia e ilarità.

Scappiamo verso la spiaggia, che fortunatamente è abbastanza ampia da permetterci di mettere una certa distanza fra noi e la truppa. Finalmente posso togliermi la soddisfazione di mettere i piedi nell’oceano e, di conseguenza, ghiacciarmi le ossa fino al midollo. Nel frattempo i bimbi apprendono sul campo quelle che riteniamo potrebbero essere rudimenti di vita acquatica, nella fattispecie gabbiani, alghe e conchiglie. Sarà il venticello, il rumore di sottofondo delle onde che si rompono placide, le grida dei bimbi e dei pennuti o semplicemente la somma delle mie maledizioni verso l’inutile faro, di fatto Barbara inizia ad accusare un lieve urgenza nelle zone basse. Nel tragitto che ci porta agli unici bagni della baia, i medesimi fattori scatenanti fanno evidentemente presa anche sulla scolaresca. Il problema è che loro hanno il vantaggio territoriale, essendosi accampati proprio presso le ambite toilettes. Morale? Per potersi liberare mia moglie deve attendere che lo facciano tutti i bimbi, e intendo tutti tutti, più le maestre, gli accompagnatori e gli autisti dei pulmini. Poi dicono che non c’è giustizia.

mercoledì 13 maggio 2009

Capitolo 28 Parata notturna di pinguini.

Arriviamo in albergo giusto in tempo per afferrare un biscotto al volo e per scegliere dalla valigia la felpa più pesante, dopodiché corriamo al molo dei pellicani, luogo ove sorge l'edificio della Marina, da cui partono i tour guidati per addentrarsi nella colonia di pinguini. E’ una frizzante seratina primaverile, spazzata dal consueto venticello da sud, latore di profumi marini, nubi minacciose, balsamico iodio e freddo polare. Al momento di registrarci scopriamo con orrore che la ragazzetta in prova come receptionist nel nostro hotel non ha passato la prenotazione per la gita di stasera ai gestori del parco. Brivido, terrore e raccapriccio, poi grazie ad una ragionevole guida autoctona e al fatto che Barbara porta tutti i vaucher relativi al nostro viaggio sempre con sé, quasi tatuati addosso come in Memento, la situazione si sblocca a nostro favore e veniamo ammessi allo show.

Mentre attendiamo di uscire veniamo parcheggiati all’interno del piccolo museo, dove è possibile apprendere alcune nozioni base mediante appositi percorsi visivi e soprattutto ammirare la vita di questo tratto di mare grazie a rudimentali ma affascinanti acquari. Finalmente arriva il momento di uscire e affrontare la fredda serata. A condurci è uno sbarbatello ventenne, volontario come tutto il resto dello staff, che ci diffida dal fare foto col flash e dallo spaventare in alcun modo gli animali. Le nozioni di biologia pinguina conosciute da Barbara sono, con ogni probabilità, maggiori rispetto a quelle del nostro imberbe Cicerone, ma evidentemente il suo spirito di contraddizione è in modalità on perenne solo con lo sventurato e novello marito, mentre si beve affascinata qualsiasi stupidaggine proveniente da un facsimile di guida indigena. Le nuvole coprono interamente la luna, e gli schivi animaletti se ne stanno belli chiusi nei loro nidi riparati dal vento, alla faccia di coloro che hanno affrontato viaggi intercontinentali pur di vederli.

Per fortuna il tempo gioca a nostro favore. Infatti questo è l’orario in cui gli adulti rientrano dalla giornata di pesca e chiamano i cuccioli sul bagnasciuga per dividere con loro il frutto delle loro fatiche. Dal mare iniziano a sentirsi i primi richiami e i piccoli lasciano finalmente i loro accoglienti ripari attratti dall’ ancestrale prospettiva della pappa. Tramite uno speciale raggio di luce rossa, invisibile ai pinguini e pertanto non invasiva, la guida li segue mentre, goffi e irresistibilmente buffi, corrono su e giù per la spiaggia alla ricerca dei genitori. Questa particolare specie di pinguini raggiunge, in forma adulta, la non eccelsa altezza di trenta centimetri. Da cuccioli sono dei batuffoli lanuginosi alti poco più di due spanne, con un equilibrio instabile che ne contrasta la eccezionale voracità. Vedendoli mi sovviene che ieri, mentre mi approcciavo all’isola, dalla murata del nostro traghetto avevo intravisto una scheggia di color nero, e lunga pressappoco una trentina di centimetri, nuotare a velocità warp fra le onde dell’oceano. La differenza fra l’ agilità nel contesto marino rispetto alla goffaggine che li caratterizza mentre sono sulla terraferma me li rende ancora più simpatici.

L’escursione finisce e torniamo silenziosamente in città. Sono le 21.55 e il fornaio/pizzeria al trancio che avevamo puntato stamattina chiude fra 5 minuti. Se vogliamo cenare ci dobbiamo muovere spediti e senza esitare. Il paese è deserto, il vento fischia e tutti i negozi sono chiusi. Da bravi pescatori sono tutti già a nanna da un pezzo. Il fornaio ha le serrande già chiuse, sta spazzando il pavimento e i nostri sguardi imploranti non lo muovono a compassione. Torniamo rassegnati al nostro albergo. Il ristorante è già chiuso da ore, come sapevamo, e i tavoli sono già apparecchiati per il breakfast del mattino dopo. Rubiamo un paio di biscotti e ceniamo in camera con una bustina di camomilla saggiamente portata da Padova.

mercoledì 6 maggio 2009

Capitolo 27 I nostri nella Laguna Nera

La nostra prima giornata sull’ Isola dei Canguri volge al termine. Come bilancio siamo decisamente in attivo per quel che riguarda le foche, meno per le altre specie animali. Purtroppo A baby for a baby..il mancato avvistamento dell’ornitorinco ha un elevato peso specifico, e tende a farmi dimenticare il valore intrinseco della giornata che sta finendo. In fondo, se fossi a Padova, nelle stesse ore mi sarei svegliato controvoglia nel mio talamo già abbandonato dalla consorte; avrei fatto una troppo abbondante colazione fissando la finestra chiusa di fronte a me e mi sarei recato MOLTO controvoglia al lavoro a svolgere mansioni umili e assolutamente inutili per otto ore. Il tutto ritenendomi oltremodo soddisfatto se durante il tragitto mi fosse accaduto di avvistare un paio di passeri o una solitaria garzetta lungo il canale. Qui invece:



· Mi sono svegliato col vento che fischiava fra le imposte, e mia moglie era accanto a me. (Ok, suona molto mieloso, ma si va in viaggio di nozze una volta sola!)
· Ho fatto colazione nella miglior bakery della città, nonché unica, mentre i pellicani prendevano il sole a pochi metri da noi.
· Ho avvistato un paio di falchi, una deliziosa wallabee con cucciolo, una lucertola australiana di mezzo metro, tutti prima ancora di passeggiare a cinque metri da una colonia di foche.



Ci si può accontentare. In più ancora non abbiamo toccato quello che sarà il piatto forte della giornata, ovvero l’escursione notturna in una colonia di pinguini! Ripercorriamo la strada di questa mattina con passo sostenuto, in direzione di una doccia, di una cena veloce e dell’ appuntamento con i simpatici pennuti. Prima di arrivare a Kingscote commettiamo quello che, a posteriori, si rivelerà un clamoroso errore. Decidiamo di seguire i consigli di un vecchio cartello in legno, che porta inciso “… lagoon” e andiamo ad esplorare questo posticino, senza prima esserci procacciati la cena. In realtà ho letto benissimo “DUCK lagoon”, ma voglio credere si tratti invece di una “BLACK lagoon”, possibilmente con tanto di omonimo mostro, e mi precipito a vederla. Dopo un tratto di sterrato rosso acceso che passa dentro un bosco di eucalipti sbuchiamo in fronte alla pozza. Per una volta ho ragione io: saranno le ombre della sera, i tronchi di alberi morti che affiorano dalle acque scure, l’assenza delle papere che dovrebbero darle il nome, ma la laguna appare molto più black che non duck. Inizio quasi a preoccuparmi.



In realtà il posto è assolutamente suggestivo e meritava una capatina. Uno stormo di pappagalli rosa staziona sopra un maestoso albero spoglio, e l’aere si riempie del loro simpatico chiasso. Peccato siano soggetti assolutamente refrattari alla fotografia, data la loro naturale tendenza a non riuscire a rimanere fermi nemmeno per il tempo che occorre a fare un click. Fiori di colori e forme sconosciute strappano alla biologa vistosi e rumorosi cenni di approvazione. Questi almeno si possono ritrarre. Un paio di pellicani viene a posarsi fra le radici di un eucalipto posto sulla riva opposta a dove ci troviamo noi. Qui danno vita ad una serie di rituali di seduzione che ci ricordano come da questo lato del mondo sia inoltrata primavera. Tornati alla macchina troviamo ad attenderci un paio di turisti che, come noi, ha coraggiosamente intrapreso l’impervio sentiero sterrato, e ora scruta speranzosa le cime degli eucalipti. Ci chiedono se abbiamo visto koala in zona. Dolenti indichiamo i pappagalli e i pellicani, ma non sembrano apprezzare l’alternativa che offriamo. Li salutiamo e corriamo a vedere i pinguini.