martedì 22 giugno 2010

Capitolo 58 D-Day Part two

Green Sea Turtle - On the beach

Purtroppo non c’è verso di nascondere la nostra protetta, così anche lei viene presto notata e fatta oggetto di pellegrinaggio. Ovviamente a noi ci tocca una coppia di italiani particolarmente ottusa. C'è poco da fare, al momento di concedere il passaporto i nostri compatrioti dovrebbero essere obbligati a sostenere un esame valido ai fini dell'espatrio, al fine di evitare che i nostri peggiori cervelli vadano all'estero a renderci ridicoli. I due geni in questione sono quelli che avevamo già osservato e catalogato alla voce “Abbronzatura o muerte!”. Purtroppo oggi il sole non c'è e girano per la spiaggia tenendosi per mano, evidentemente smarriti e alla ricerca di qualsiasi evento possa distrarli da ciò che vivono come una drammatica ingiustizia. Non avendo l'occhio abituato al difficile compito del “guardarsi attorno” devono arrivare quasi in bocca alla nostra scavante tartaruga prima di realizzare di che si tratta. Questo nonostante io e Barbara si sia in piedi e ci si sbracci per attirare la loro attenzione da che sono apparsi all'orizzonte! A questo punto si pone un quesito: siamo costretti a scegliere se rivelarci come italiani, compromettendo le nostre identità segrete ed esponendoci quindi al fatale riconoscimento da parte dei nostri compatrioti, oppure far finta di nulla e lasciare che i due ignorantazzi inizino a fare della Nostra tartaruga il bersaglio per qualsiasi malsana idea svolazzi nei loro pigri cervelletti. In realtà non c'è una vera scelta e Barbara, utilizzando le parole più semplici che il nostro meraviglioso idioma consente, prova a spiegare ai nostri nuovi amici il meraviglioso concetto di non rompere le scatole agli animali. Purtroppo italiano o meno, le parole con certa gente servono a poco, e se la ragazza pare capire le nostre intenzioni, l'uomo di casa non intende farsi spiegare il mondo da mia moglie, e gonfio di maschio testosterone va ad inginocchiarsi proprio di fianco alla tartaruga, ed inizia ad accarezzarne il dorso.

A Barbara inizia a pulsare una venuzza sulle tempie. La ragazzetta ride istericamente, “dai Giorgio, non si fa, vieni via, hihihi!” Io ho delle fantasie sulla tartaruga che si gira e fa volare via il cretino con due schiaffi delle sue pesanti zampine. Facendo ricorso a doti di pazienza e diplomazia che non le avevo mai visto (e che mi chiedo mi sarà mai dato di vedere!!!) Barbara prova a far notare all'idiota che il rettile non gradisce le attenzioni che gli vengono rivolte. Al che, non richiesta, esce la perla di saggezza: “Ma mica ci sente!” Tono lamentoso e seccato di bimbo saccente e poco abituato a sentirsi dire di no. Io ormai sono alla pianificazione del doppio omicidio, che comprende lo strozzarli a mani nude e approfittare della buca ormai scavata per nascondere i corpi dei due imbecilli. Per fortuna nessuno ha la meglio su mia moglie nel botta e risposta, e soprattutto NESSUNO può pensare di avere l'ultima parola su di lei. Mani sui fianchi, voce ferma e decisa, forse solo più alta di un'ottava a sottolineare la tensione della schermaglia: “Credi che non abbia altri modi per accorgersi di te? credi che sia stupida? Ha smesso di scavare!”

La componente maschile delle teste di balsa guarda la moglie scocciato. A lei la voglia di osservare i rettili è già abbondantemente passata, l'astinenza da melanina attivata inizia a battere e questi nuovi italiani conosciuti non sono per niente simpatici. Di comune accordo si allontanano, probabilmente in cerca di qualche altra specie, umana o animale, da infastidire. Liberata dai seccatori, almeno da quelli più invasivi, la nostra protetta riprende a scavare. Evviva!

lunedì 14 giugno 2010

Capitolo 57 D-Day Part one

Non capita tutti i giorni che una tartaruga marina scelga di scavare il proprio nido a pochi metri da te, quindi assaporiamo ogni momento in estasi mistica, ammirando la tenacia e il coraggio del corpulento rettile mentre issa il suo pesante carapace sulle dune e usa le sue zampe pinnate per strappare al terreno un rifugio sicuro per le uova. Volano palate di sabbia in ogni direzione mentre sbuffi di fatica si levano dal musetto determinato. Purtroppo il buonsenso e le leggi dell'isola impongono di lasciarle tranquille durante i loro sforzi, altrimenti l'avremmo aiutata volentieri, la fatica che richiede l'intero processo è qualcosa di palpabile e che non può asciare indifferente chi assiste. Alziamo lo sguardo: per l'intera lunghezza della costa che riusciamo a vedere si susseguono sbarchi di tartarughe. Il D. Day è cominciato, e noi siamo giusto in mezzo!


La portata dell'evento non è tale da passare totalmente inosservato, e attorno ai rettili iniziano a formarsi sempre più capannelli di bipedi curiosi e invadenti. Se c'è un appunto da muovere agli australiani è che tendono a considerare il resto del mondo loro pari, e questo, purtroppo per il resto del mondo, è totalmente sbagliato. Se un australiano fissa una linea di comportamento si può essere sicuri che un altro australiano si farà asportare la virilità piuttosto che contraddirla. Ma gli europei? La regola dell'isola riguardo le tartarughe è chiara, ed è fondamentalmente l'unica regola: lasciare in pace gli animali. Più che una regola ovviamente è un'indicazione, visto che non c'è nessun addetto che gira per lo stabilimento attento a che venga rispettata, ma esiste, e questo per gli Aussies basta e avanza. Certo non per gli stranieri. Così, con nostro sommo disgusto, dobbiamo assistere a scene di ordinaria stupidità umana rapportata agli indifesi animali. Una magnifica foto nel centro di accoglienza mostra, più edificante di cento parole, l'esatto comportamento da non tenere nei confronti dei rettili. Bianco e nero, una signora di mezza età con un costume anni 50, sorridente in posa sopra una maestosa testuggine tesa nello sforzo di riguadagnare le onde. Si può essere più stupidi di così? A giudicare dal comportamento dell'ignobile concentrato di razza umana attorno a noi purtroppo la risposta è positiva. Chi si affanna a mettersi in posa a fianco all'animale in modo che la moglie possa fotografarlo. Chi deve assolutamente toccarle mentre scavano, osservarle da quanto più vicino possibile. Chiaramente la tartaruga, come una consumata star, gradisce poco le attenzioni dei paparazzi, soprattutto perché è costretta ad interrompere più volte le già laboriose procedure.

giovedì 3 giugno 2010

Capitolo 56 La tartaruga un tempo fu..

Un'altra coppia di vacanzieri italiani la individuiamo in virtù di un altro topos della nostra gente, cioè la smania per l'abbronzatura. Stazionano sul bagnasciuga, spiaggiati in pochi cm d’acqua e si godono i raggi UVA con la costanza degna di animali a sangue freddo. Ci sono frotte di gente che parte dai nostri aeroporti per raggiungere mete esotiche ed affascinanti di cui non ricorderanno assolutamente nulla se non quanto sole hanno preso. Questi bipedi si riconoscono dalle membra carboncine e dalla totale assenza di neuroni all'interno della cavità cranica, e li puoi trovare stabilmente rivolti in direzione dell'astro celeste sin dalle prime ore del mattino. Quando alla fine delle loro sudate ferie, dove per sudate non si intende tanto il fatto di aver fatto sacrifici per potersele permettere, si ritrovano con i loro pari per il consueto scambio di impressioni sui luoghi di villeggiatura, il momento di massimo godimento diviene il confronto di colore degli arti superiori. Di pallido in queste serate c'è solo il ricordo dei luoghi visitati, dato che nessuno si è dato la pena di visitarli realmente, e le poche foto prodotte (fotografare significa rubar tempo all'abbronzatura) risentono anch'esse della massiccia esposizione ai raggi solari, e quindi tendono ad assomigliarsi tutte.

Le nostre giornate trascorrono così all'insegna della zoologia, fra specie animali che è bello conoscere e scoprire, ed altre che purtroppo non possiamo fare a meno di notare. La tempesta tropicale che abbiamo visto montare all'orizzonte fortunatamente passa al largo, ma la nostra tranquilla vita isolana ne viene comunque influenzata, nel bene e nel male. Il clima cambia leggermente, dall'oceano arriva una brezza fresca e costante che porta sì refrigerio, ma anche turba il sin qui pacifico moto ondoso, rendendo la balneazione estremamente complessa. Di fronte a tali sconvolgimenti naturali l'ospite medio del resort fa di necessità virtù. Sceglie un paio di comode brande, ordina un cocktail analcolico e fruttato, e si adatta a sguazzare nella pratica e riparata piscina, in un “mal comune mezzo gaudio” a caratura internazionale. Ma a volte bisogna andare contro la Logica per ottenere risultati insperati, e a volte il detto: “la Fortuna bacia gli audaci” si rivela veritiero. Fra la prospettiva di rimanere in spiaggia, fare il bagno fra i marosi ed allestire ripari di fortuna dal vento oppure mischiarci alla schiuma della società in quel ricettacolo di vizi altresì conosciuto come piscina comune, il sottoscritto ovviamente non ha manifestato il minimo dubbio, e tronfio del suo razzismo culturale ha trascinato la sventurata consorte in spiaggia con qualsiasi clima.

Così facendo veniamo a beneficiare dell'ennesima epifania australiana, ovvero lo sbarco delle tartarughe marine. Come già accennavo, questo è il loro periodo di deposizione delle uova, e già da qualche giorno in spiaggia era possibile notare i segni del loro passaggio notturno. La tempesta abbattutasi nelle vicinanze deve aver in qualche modo alterato la loro percezione del daytime (teoria nostra, quindi da prendere col beneficio di inventario!!), poiché iniziamo a scorgere sempre più esemplari avvicinarsi intrepidi alle spiagge anche nelle ore diurne. E così, un magico pomeriggio di dicembre, mentre siamo immersi nella quiete fra i cespugli e assaggiamo l'aria che l'oceano soffia sulla nostra solitudine, fra le onde un paio di testoline squamose si portano a quota periscopio e scrutano ansiosamente la rena. L’ora di cena ormai si approssima e gli ospiti dell’ isola sono quasi tutti già affaccendati nei preparativi per la serata. I pochi ritardatari rimasti si affrettano verso i bungalow, e in capo a pochi minuti la spiagge, già poco affollate, si svuotano completamente. E’ il momento. Dalla nostra privilegiata posizione, seminascosti dalle fronde di Pisonia, vediamo avanzare lentamente una gigantesca testuggine, e raggiungere il bagnasciuga proprio davanti a noi. Un paio di passi incerti e il corpaccione è completamente fuori dall’ acqua. La osserviamo salire verso di noi con sicurezza, ancorché con una certa goffaggine. Rimaniamo fermi immobili, trattenendo quasi il respiro per non spaventarla, ora che è fuori dal suo elemento naturale. Precauzione inutile, il rettile ha deciso che deve assolutamente deporre il suo prezioso carico sotto il mio telo da spiaggia. C’è poco da fare, dobbiamo proprio toglierci dai piedi!

martedì 25 maggio 2010

Capitolo 55 Razze (di pesci e altre bestie)

Gli squali stazionano a pochi metri dalla costa. Non sono assolutamente aggressivi, e la presenza umana pare non disturbarli troppo. Li lascio e provo ad avventurarmi in mare aperto. Sotto la sabbia si intravedono capannelli di razze semimimetizzate e in pacifica attesa che qualche incauta preda passi sopra di loro. In effetti il Queensland è la patria delle razze e di Steve Irving, commemorato qui come un eroe nazionale. Siccome ho ben in mente che razza di fine abbia fatto (se mi perdonate l’orrendo gioco di parole!) giro ben alla larga anche da queste bestiole. Allora: in riva al mare ci sono gli squali. Più in là le razze velenose, più in là ancora non si può andare perché se ti piglia una corrente ballerina si finisce al polo sud senza passare dal via. E’ tutto quello che si può chiedere ad un bel bagno rilassante.

Storm in Heaven

Inquietata dal genere di pesci che ci troviamo ad affrontare, Barbara decide che bagnarsi a malapena i piedi è più che sufficiente per la giornata, e mi lascia solo in balia delle onde di Shark Bay. Poco male, avrà tempo di rifarsi. In fondo basta solo entrare nel semplice ordine delle idee australiano: gli squali non ti danno fastidio, se proprio non sanguini davanti a loro. Semplice. Le razze? Basta non disturbarle. Se ci cammini sopra potrebbero indispettirsi, certo, ma generalmente non sono mimetizzate così tanto da non vederle. Ok. Le correnti, le meduse, le conchiglie velenose…esistono, se lo sai ti comporti di conseguenza, la morte è un’eventualità certo spiacevole ma naturale come il resto delle cose.

Il resto della giornata procede senza scossoni e situazioni degne di nota, a parte una montante tempesta dal lato nord. Il vento crescente turba la superficie delle acque e in queste condizioni lo snorkeling diventa proibitivo, ci tocca ripiegare sulla zoologia terrestre anziché anfibia o marina. In particolare l’isola permette l’osservazione dei comportamenti di una specie inutile e dannosa quanto la gramigna ed altrettanto diffusa, cioè l’ Italicus otiosus, ovvero l italiano in vacanza. Mentre noi si faceva una tranquilla colazione in infradito e t-shirt vintage, eufemismo per non dire antica e consumata, siamo stati attratti dalla visione di una dea bionda che scendeva a far colazione con i comuni mortali. Prendisole bianco su costume brasiliano, una cofana di capelli biondi appena usciti da phoon e arricciatore, trucco perfetto su viso totalmente inespressivo e senz’età, quel genere di pokerface che solo il botulino in abbondanti applicazioni può regalarti, e ciabattina tacco dodici ostentata con consumata nonchalance. Insomma lo stereotipo della bionda oca appena uscita dall’estetista, agghindata con mise improponibili per Miami Beach o Porto Cervo, quindi totalmente sprecate e fuori luogo per l’isola in cui siamo. E non abbiamo certo bisogno di sentirla approcciare il cameriere con un “Possibile che qui nessuno parli italiano?” per capire con chi abbiamo a che fare. Il marito, improbabile anch’esso, sfoggia baffo da sparviero, pancia da benessere, e un pantalone jeans al ginocchio che costerà quanto un mese del mio stipendio, e che fa clamorosamente a pugni con il copricapo original Australian Style, acquistabile ad ogni bancarella per 15 dollari. L’Italicus Otiosus non spreca il suo tempo in vacue esplorazioni del luogo in cui arriva. Una volta individuati ristorante e piscina le sue scorribande cessano, e comincia il meritato riposo. Li ritroviamo infatti a pomeriggio inoltrato sulla spiaggia appena prospiciente il bar, intenti ad un servizio fotografico. Lei, una ninfa marina di indicibile splendore gioca vezzosamente sul bagnasciuga ad esibire un repertorio di posizioni atte ad accentuare l'invidiabile abbronzatura e la sbarazzina bellezza. Il marito le ciondola intorno con l'improbabile cappellaccio, e la fotografa in tutte le pose, assecondandone gli istinti divistici con sudorazione sospetta. L'intento è chiaro: una volta rientrati dai meravigliosi luoghi di villeggiatura prescelti, coppie di amici di pari ceto ed estradizione si ritroveranno presso un divano e un proiettore.

Coppia n.1: “Dovete assolutamente vedere le nostre foto delle vacanze!”

Coppia n.2: “Sì,sì che bello, anche noi ne abbiamo un sacco da farvi vedere!”

Coppia n.3: “Ottima idea! Voi cosa avete?”

Coppia n.1: “Noi abbiamo 400 foto in alta risoluzione di mia moglie che prende il sole sul terrazzo nel nostro chalet a Cortina.”

Coppia n.2: “Noi abbiamo 8ore di video di mia moglie che fa il bagnetto nella piscina del nostro resort alle Mauritius.”

Coppia n.3: “Noi invece abbiamo solo 300 foto di mia moglie sul bagnasciuga di una spiaggia tropicale, cosa volete, il tempo non è stato bellissimo, abbiamo dovuto limitarci.”

In generale la specie qui osservata non è particolarmente aggressiva. Il suo comportamento è sì chiassoso e volto a richiamare l'attenzione di ogni altra specie animale transitante nelle vicinannze, ma il loro essere stanziali in determinate aree (bar, ristoranti, piscine) fa sì che ci si possa scordare della loro presenza semplicemente allontanandosene. Una delle caratteristiche già descritte, questa sì decisamente invasiva e spiacevole, è la tendenza che questa bestia ha ad andarsene in giro a branchi, e quindi a crearsene uno nei vari luoghi dove soggiorna. In questi casi occorre sangue freddo e una notevole dose di fermezza per mettersi al riparo dalle loro attenzioni. Il nostro aspetto diafano fortunatamente ci accomuna più ai vampiri e agli anglosassoni, che ai frutti della nobile penisola italica, e questo, unito al fatto che tra di noi nelle zone comuni si parli in inglese, genera negli sciagurati conterranei un equivoco che siamo ben lieti di protrarre sino al giorno in cui ci si lascerà per non vedersi (speriamo!!) mai più!

martedì 13 aprile 2010

Capitolo 54 Shark Bay

Per il nostro primo assaggio di oceano e spiaggia ieri pomeriggio ci siamo affidati al caso. Man’s Style. Quindi oggi tocca alla programmatrice-e-scrupolosa-ai-limiti-della-pedanteria parte femminile della coppia studiare e scegliere il posto migliore dell’isola per il nostro spiaggiamento. Gli indigeni compilano giornalmente un esauriente bacheca segnalando fasi della luna, conseguenti maree, orari delle varie escursioni sui coralli (via mare, con bombole, snorkeling assistito oppure gita a piedi con bassa marea.) e degli eventi mondani. In più vengono segnalate le specie più pericolose che può capitarci di incontrare, dai molluschi velenosi, ai coralli perniciosi, ai pesci urticanti e accorcia vita. Nessun cenno alle meduse. Sappiamo che esistono alcune specie, in questa zona, tanto piccole da passare a volte attraverso le reti che, nei periodi di migrazione, vengono messe al largo a protezione delle acque frequentate dai turisti, e che perciò risultano anche molto difficili da avvistare in tempo. E giustamente sono letali. A precisa domanda ci rispondono che ancora non è periodo, non dovremmo incontrarne, di meduse ce ne sono, ma solo quelle innocue, il cui tocco è fastidioso ma non letale, cosa che per gli standard di questa zona significa che sono"assolutamente innocue!". Rassicurante. In compenso raccomandano come angolo migliore per la balneazione Shark bay. Il nome è tutto un programma, ma il fatto che si trovi sulla punta estrema dell’isola, vagamente defilata dal resort mi fa desiderare di provarla. Attraversiamo la foresta di Pisonia, suscitando le grida di indignazione dei vari pennuti che disturbiamo, e sbuchiamo presso una magnifica spiaggia semi deserta. Il paradiso. Sabbia bianca. Mare di ogni colore fino all’orizzonte, cielo terso e sole che spacca. La Baia degli Squali entra prepotentemente nella classifica dei luoghi più belli mai visitati. Mi concedo al sole il tempo necessario a smaltire la colazione, dopodiché sono pronto per la sessione mattutina di snorkeling. Sfodero il mio fisico bestiale, acchiappo la fedele maschera, le pinne e la macchina fotografica subacquea e mi lancio verso l’oceano. Due passi di ambientamento e una pinna sospetta transita ad un paio di metri da me.

Shark zone

Compio l’intera distanza che mi separa dal basciasciuga in un unico balzo, urlando al contempo frasi sconnesse e seminando la mia attrezzatura in un raggio di cinque metri. Macheccacchio, e io che pensavo che Shark Bay fosse solo un nomignolo roboante e esotico! Alla faccia! Situazione: nella successiva mezz’ora io e Barbara avvistiamo un altro paio di pescecani di circa un metro e mezzo di lunghezza, che vanno a zonzo a pochi metri dal bagnasciuga. Più un numero imprecisato di quelle che sembrano proprio essere razze, e una manta che saltella al largo. Il nostro desiderio di fare il bagno è sceso a livelli di guardia, ma tutte le altre persone che si trovano in questo tratto di spiaggia sono in acqua, e sembrano godere di ottima salute. Anzi, i più divertiti sono i bambini che fra loro giocano ad avvistare e rincorrere gli squali sotto gli occhi vigili ma divertiti dei genitori. Dannazione, se i bimbi australiani fanno il bagno con questi pesci rossi troppo cresciuti vuoi che io sia da meno?! Diamine, no! Mi tuffo. Non devo nemmeno aspettare troppo. E’ pur vero che l’acqua e la maschera tendono a restituire un’ immagine un po’ ingrandita rispetto alle reali dimensioni, però non faccio a tempo a fare un paio di bracciate che mi attraversa la corsia un esemplare di quasi due metri. Non voglio fare il pescatore delle barzellette, quello che pesca una sardina e dichiara un tonno per intenderci, quindi vedrò di essere quanto più chiaro possibile. Supponendo per assurdo che il pescetto, vedendo la notevole quantità di carne che mi porto appesa ai fianchi, desiderasse farsi uno spuntino prima di pranzo, plausibilmente avrei avuto ampie possibilità di cavarmela. Certo, magari senza un braccio, o una gamba, però non ho esattamente incontrato lo squalo di Spielberg. Un fratellino piccolo di un metro e mezzo/due, pacifico e sereno com’ero io prima di entrare in acqua, questo ho trovato. E basta e cresce!

mercoledì 7 aprile 2010

Capitolo 53 For the Birds part 2

Mi sveglio insopportabilmente presto per un neo marito in vacanza. E’ sempre così. A casa un imprescindibile impegno lavorativo e due sveglie non bastano a buttarmi giù dal letto. In vacanza la mia sveglia interna inizia a suonare alle sette. “Mah, meglio così del contrario!”, mi dico mentre osservo la mia dolce metà finalmente riposare dopo la lotta notturna con tappi e urla dei Muttonbirds. In fondo la prospettiva di immergermi in acque limpide, circondato da pesci di ogni tipo e tartarughe marine, ben giustifica una levataccia. Ma non ho cuore di svegliare Barbara. Esco sulla veranda e cerco di ammazzare il tempo osservando i rituali delle varie specie di uccelli che girano nei dintorni. Uno degli aspetti più rilevanti del mio bird watching mattutino è che non so quanti altri appassionati di ornitologia lo pratichino in boxer e maglietta su di una sdraio. L’altro, più attinente, è che il re dell’isola, ovvero l’airone del Pacifico, è un sovrano assai poco amato dai propri sudditi. Non riesco proprio a spiegarmi l’ostilità con cui i generalmente pacifici Black Noddy accolgono gli aironi quando questi si posano sui rami degli alberi di Pisonia. Da totalmente ignorante delle interazioni sociali fra le varie specie di pennuti, formulo un paio di ipotesi che non solo mi sembrano plausibili, la qual cosa alle sette del mattino mi rende fiero di me stesso come poche volte mi succede, ma che hanno anche l’indubbio pregio di non essere smentibili, almeno nel breve periodo, e senza un’esperto/wikipedia nelle vicinanze. La mia impressione è che il grosso e goffo airone si posi sui rami con ben altra invasività rispetto ad altri uccelli ben più piccoli ed agili. Da qui le loro (giustamente!) seccate rimostranze. A maggior ragione se si considera che, a quanto posso vedere, gli aironi possono pur andare a posarsi da altre parti, mentre le testine bianche sono bloccate a guardia dei loro nidi e dei loro piccini. Pensate a quanto è fragile la loro dimora, per quanto ben costruita e tenuta assieme da abbondanti e ripetute colate di cemento naturalmente prodotto. Pensate al fatto che se un uovo, o peggio, un piccolo cade dal nido non c’è nessuna forza in natura che può ridarlo alla madre. Pensate che sotto agli alberi stanno in agguato predatori di ogni genere, tra tutti il subdolo gabbiano e capirete quanto scompiglio e terrore possa portare uno sgraziato airone di un metro fra queste fronde. Sono ancora intento a farmi i complimenti per tutto il mio acume quando accade qualcosa che mi riporta, è il caso di dirlo!, con i piedi per terra.

White moves first always..
..E il grande airone bianco si pappò il piccolo Black Noddy sotto gli occhi inorriditi del Vostro reporter..


E mentre documento il tutto, esorcizzandolo dietro alle lenti della mia reflex, non posso fare a meno di riflettere su quanto poco sapessi della dieta degli aironi e, di conseguenza, quanto le mie teorie sociologiche siano professionalmente valide quanto una banconota da sette euro. Si dà il caso infatti che il re dell’isola non disdegni rimpinguare il suo menù con qualche implume pargolo di Black Noddy, e che questa sua perversione alimentare basti a giustificare la paura degli uccelli più piccoli quand’esso plani nelle vicinanze dei loro scoperti appartamenti. Per essere giorno da così poche ore ho già preso un granchio non da poco. Sveglio la riluttante compagna e la convinco ad accompagnarmi al bar per mangiare qualcos’altro, oltre al mio smisurato ego frustrato.

lunedì 29 marzo 2010

Capitolo 52 Nel mezzo del cammin...

E’ tempo di iniziare l’esplorazione. L’ isola non è grandissima ma la piscina del bar attira la maggior parte degli ospiti, quindi sulle spiagge godiamo di assoluta tranquillità, la qual cosa proprio non ci disturba. Ormai è pomeriggio inoltrato, ci azzardiamo a prendere l’ultimo sole, protezione 40 sulle nostre diafane membra, e anche a fare il primo bagnetto. Green Sea TurtleL’acqua non è proprio caldissima, ma nemmeno fredda come la Croazia, e al primo tentativo mi imbatto in una tartaruga marina che incrocia proprio sulla costa dove ci troviamo noi. Immagino che lei non possa dire lo stesso, ma per me è stato un incontro emozionante. In effetti questo è il periodo dell’anno in cui questi giganteschi rettili tornano nei luoghi d’origine per deporre le uova. Ed io e Barbara non stiamo nella pelle all’idea di assistere a questa scena. Ma ci torneremo. Intanto il sole cala lentamente sulle pacifiche acque del Pacifico. La marea lentamente discende e la riva diventa territorio di caccia degli aironi e dei gabbiani. Ci godiamo un fantastico tramonto immersi nella quiete di quest’angolo di paradiso.


Tramonto ad Heron IslandDopo aver cenato ci attira l’idea di avere un incontro ravvicinato con una tartaruga in vena di deporre le uova, quindi ci rechiamo a farci catechizzare a riguardo. Sull’isola è presente un centro di ricerche marine, sotto l’egida dell’Università del Queensland, che fra i vari compiti ha anche quello di monitorare il passaggio delle balene in autunno, e, appunto, l’arrivo delle tartarughe nei mesi estivi. Il fortunato hippie che ci accoglie ci spiega che in caso di incontro con questi rettili è vietato dar loro fastidio, quindi ci provvede un paio di minuscole torce a luce calda, che l’occhio del animale non coglie. È lo stesso procedimento che abbiamo già sperimentato a Kangaroo Island, quando alla luce di queste particolari lampade abbiamo potuto ammirare non visti i pinguini nani. Armati di questi minuscoli lumini usciamo alla ricerca di avventura. Il problema è che la serata prescelta è senza luna, e una volta usciti dal cerchio di luci, peraltro abbastanza flebile, del resort l’oscurità ci avvolge pressoché interamente. La visibilità che le torce provvedono è appena sufficiente a mostrarci dove mettiamo i piedi, quindi l’angusto sentiero che passa in mezzo alla giungla e che oggi pomeriggio sembrava comodamente agibile, si rivela di assai più infida percorribilità alla luce delle stelle. Ma dinnanzi alla prospettiva di un paio di testuggini in cerca di un luogo consono dove deporre qualche centinaio di uova, la famiglia Bonazzi, qui in versione Giovani Marmotte, non può certo preoccuparsi per un po' di illuminazione fatiscente. Morale: raggiungiamo non senza difficoltà la spiaggia e decidiamo di accamparci in un punto abbastanza illuminato, pregando il Dio delle Tartarughe di mandarci qualcuna di queste ragazzotte a prendere terra proprio qui.


L'attesa si rivela infruttuosa e ci tocca far ritorno in stanza, non senza prima farci un altro viaggetto nella Selva Oscura. E mentre i Muttonbirds sottolineano la nostra frustrazione con un coro tutt'altro che angelico e la brezza marina si insinua fra le fronde di Pisonia recandoci afrori tutt'altro che romantici, ci concediamo a Morfeo nella nostra prima notte isolana.

martedì 23 marzo 2010

Capitolo 51 For the Birds

Distratti dalla marea rossiccia passiamo l’ultima mezz’ora di navigazione che ci separa dall’isola. Man mano che la spiaggia si avvicina iniziamo ad avvistare qualche esemplare della fauna tipica di questi luoghi, cioè vari stormi di uccelli pescatori e qualche guizzante abitante dei mari. A dispetto del mio fisico da giocatore di bocce, non vedo l’ora di infilarmi un costume e una maschera! Fa un bel caldo per essere dicembre, e la marea rossiccia è rimasta al largo, quindi un bella nuotata rinfrescante sarebbe proprio l’ideale. Ma prima c’è da espletare un po’ di burocrazia. Ci radunano in una capanna e ci danno alcune dritte sull’isola: non toccare nulla di vivo, il sole brucia, non disturbate gli uccelli. In effetti ci troviamo in una riserva nazionale, la presenza umana è prevista ma dev’ essere quanto meno invasiva possibile per le specie animali che qui risiedono. Non dovrebbe essere necessario ribadirlo, ma essendo il resort occupato prevalentemente da italiani e altri europei, ricordare le regole del vivere (civile!) in una riserva naturale non guasta.



Il bungalow assegnatoci non ha serratura, su quest'isola pare non si usi. Passi, appenderemo ovunque cartelli minatori quando necessiteremo di privacy, giusto per non ripetere le poco eroiche gesta di Sydney. Ogni nostro avere finisce quindi nella capace pancia della cassaforte del resort, comprese le nostre fedi nuove fiammanti alle quali iniziavamo appena ad abituarci. Appena entrati, i bellicosi propositi di spiaggia e mare vengono meno e la stanchezza dell'ennesimo spostamento mattutino, unita alla scomodità dello shakeramento marittimo prende il sopravvento. Di conseguenza è solo dopo una robusta pennichella pomeridiana che iniziamo la ricognizione della nuova realtà che ci circonda. Il primo rilevante aspetto è la nutrita presenza di pennuti. Se la razza umana qui ha un avamposto confortevole benchè ridotto, gli uccelli sono gli indiscussi padroni del territorio. A parte l'airone che presta il nome all'isola, i grandi alberi di Pisonia, la specie dominante in quest'isola, sono letteralmente invasi dai nidi del Black Noddy, una sorta di uccellaccio nerissimo a parte la testina bianca. Essendo periodo tardo primaverile il cicaleccio continuo ed assordante delle madri che rimangono al nido ad accudire i piccoli appena nati è la costante colonna sonora della giornata. Camminando occorre fare attenzione ad un'altra specie, le Buff-banded Rail, sorta di piccole quaglie che prediligono il cammino al volo, e girano fra le foglie cadute smuovendole alla ricerca di cibo per gli immancabili pargoli al seguito. I sentieri per gli uomini sono quindi una gigantesca trappola di guano, fra quello che piove dal cielo e quello che si accumula per terra, ma dopo il primo momento di comprensibile smarrimento, gli ospiti iniziano ad accettare le inevitabili macchie con un sorriso complice. Mal comune in fondo è sempre mezzo gaudio. Certo nelle ore più calde l'odore a volte non è proprio quello che assoceresti al paradiso, ma la brezza oceanica tende a disperderlo molto prima che inizi veramente a dare fastidio. Insomma, se per vivere cinque giorni in un eden tropicale siamo costretti a dividerlo con un esercito di pennuti, con tutto quello che questa convivenza può offrirci, beh, dal poco che abbiamo visto finora ci sembra un prezzo accettabile.

Huey, Dewey e Louie

Quello che non sappiamo è che dobbiamo ancora fare la conoscenza della specie di uccelli più invasiva, i Muttonbirds. Ogni tanto ai lati dei sentieri dei cartelli indicano dei buchi nel terreno dove questi simpatici alati pescatori hanno posto la loro residenza. Quando il sole volge al tramonto questi deliziosi pendolari del mare rientrano ai loro nidi e iniziano a cantarsi la ninna nanna l'uno con l'altro. Ogni coppia di turisti riceve in dotazione due paia di tappi auricolari per il sonno notturno. Infatti il canto notturno dei Muttonbirds si rivela particolarmente fastidioso e decisamente poco conciliatorio, tenendo conto del fatto che il rumore a cui più assomiglia è una metavia fra l'ululato dei coyote in amore e il pianto notturno dei neonati. Sospetto che questo micidiale mix, soprattutto nel secondo ingrediente, influisca in qualche subdolo modo sul subconscio delle donne sull' isola, se è vero che al mattino le occhiaie da sonno agitato sono molto più visibili sulle portatrici di cromosoma doppio x che non sui partners. Anche nel mio piccolo nido familiare la situazione notturna vede il sottoscritto dotato di tappi farsi delle grasse dormite a qualsiasi orario, mentre la moglie è costretta a recuperare al mattino o al pomeriggio le ore di sonno perse durante la notte.

martedì 16 febbraio 2010

Capitolo 50 Familiarizzare con lo "Swamping"

All'orizzonte appare un isola. I naviganti si aggrappano alla speranza che la tremenda traversata volga al termine, e si riversano festanti sui ponti, attendendo il momento di rimettere i piedi sulla terraferma. La barca procede, l’isola rimane, lo scoramento impera. L’oceano non lesina i suoi colpi migliori, e dopo un’ora e mezza il numero di superstiti con ancora in corpo la colazione è drammaticamente sceso a poche unità. Tra questi militiamo ancora io, Barbara e la ninja capo delle sfitinzie, mentre le due giovani paddawan, dopo aver rivisto ogni pasto fino al latte materno, hanno ripreso quella tranquillità e scioltezza che caratterizza chi ormai non ha più nulla da perdere. Purtroppo devo fastidiosamente riconoscere che la sfida sta volgendo a favore della nostra dirimpettaia. Io e mia moglie stiamo mettendo ogni energia nel tentativo di mantenere lo stomaco entro ragionevoli limiti di rollio, e la situazione sta precipitando di minuto in minuto. Di contro, la malvagia minigonnata continua imperterrita a rovesciare nello stomaco ogni sorta di cracker/biscotto, incurante degli sguardi d’odio che ogni persona che passa le lancia, due secondi prima di ripercorrere la via verso il rinfrancante parapetto. E’ chiaro che abbiamo scelto male l’avversario per il nostro contest: se le due pulzelle ci hanno dato grosse soddisfazioni in termini di corsa all’oceano, è ovvio che la terza dev’essere stata partorita sul dorso di un cammello, imbarcato clandestinamente su un due alberi in traversata solitaria dell’Atlantico. In una notte di tempesta.

La navigazione prosegue. Sul mare appaiono chiazze marroncine di natura ignota. Col pretesto di osservare più attentamente questo mistero biologico ci accaparriamo un posticino mica male sulla balaustra, vista oceano, soleggiato e ampiamente ventilato, dotato di tutti i servizi essenziali. Sembra essere il preludio alla nostra disfatta, una semplice manovra di avvicinamento alla nostra destinazione finale, il contest di spantasso in lungo con gli altri naviganti della domenica. Eppure la manovra riesce: il vento in faccia e la bizzarra colorazione delle onde ottengono l’effetto di farci dimenticare il devastante rollio a cui siamo sottoposti, e la nostra condizione ne beneficia. In compenso non c’è verso di venire a capo del mistero delle chiazze sull’oceano. Le uniche ipotesi plausibili sono:

a. Davanti a noi c’è una petroliera che sta scaricando in acqua il suo prezioso carico.
b. Davanti a noi c’è un altro traghetto, e quel che vediamo è il risultato dell’ennesimo aperitivo offerto ai passeggeri.



Abbiamo dovuto rientrare in patria e affidare i nostri dubbi ad Internet per scoprire l’inghippo. In pratica la misteriosa marea rossiccia è circoscritta a questa particolare zona e periodo dell’anno. Stiamo infatti parlando di coralli e della loro simpatica modalità di riproduzione. In termini tecnici questa è altresì nota come riproduzione sincrona di massa. “Fra un periodo che varia da ore a giorni, molte specie liberano i loro gameti contemporaneamente. Questo è chiamato"swamping" (inondazione). I pacchetti uovo-sperma galleggiano e formano macchie sulla superficie d'acqua che può andare alla deriva per giorni, allontanandosi così molti chilometri dal luogo di rilascio. Galleggiando così insieme, dopo la rottura dei pacchetti d'uovo-sperma, la probabilità che la fertilizzazione avvenga è più grande e interessa un’area molto estesa”. (www.reefkeeping.com)

Quante cose belle abbiamo appreso in Australia!

mercoledì 10 febbraio 2010

Capitolo 49 Duello sul ponte.

Sarà che sono le sette del mattino, sarà che come realtà è assolutamente piccina, ma l'aeroporto di Gladstone mi appare come un posto deserto ed inospitale. Siamo arrivati prima noi di tutti gli impiegati dei vari negozi al suo interno. Ci accomodiamo sulle poche poltroncine, in paziente attesa del nostro trasporto verso l'imbarco. Lentamente inizia a fiorire anche la vita attorno a noi. Il bar apre i battenti, i rappresentanti delle varie agenzie di noleggio auto entrano e vanno a fare gli splendidi a turno con la barista, addirittura qualche uomo d'affari in inappuntabile giacca e cravatta si azzarda fino alla biglietteria. Ho finito le immagini per dire che “non ci è passato nulla” fino all'arrivo del pulmino. In compenso poi le emozioni non sono affatto mancate. Già la nostra driver è un personaggio non da poco. Bionda, affabile come un calzino sudato, guida con l'eleganza di chi ha saltato la spiegazione a scuola del concetto di traffico, pedoni e altri veicoli. E siccome tutto quello che potremmo chiedere al nostro passaggio è di ponarci sulle poltroncine e di chiudere gli occhi, affidandoci ad un autista attento e discreto, ecco che ci tocca scrutare la strada sperando che non capiti nessuno a tiro della pazza. In più, conscia di renderci un servizio impagabile, l'improponibile si appropria di un microfono e inizia a deliziarci con le meraviglie della cittadina. Che sono ben poche, ma lei ce le decanta a voce talmente alta che è impossibile annoiarsi, figurarsi pisolare. Quindi tutti svegli e incazzosi fino al porto, tutti tranne Barbara. Però io adesso so per filo e per segno le principali fonti di reddito di Gladstone (fanno i cucchiaini per le coppette gelato a Gladstone, lo sapevate?), e che la nostra cara anfitriona si chiamava C. ed era una neozelandese trapiantata lì da x anni. Mia moglie invece tutto questo non lo ricorda. Ben le sta!

Goin' my way

Ma la parte più dura del nostro procedere verso i paradisi tropicali deve ancora arrivare. Dopo il logorroico ed incomprensibile tassista di Brisbane, il volo notturno e la sosta forzata in aeroporto a Gladstone, dopo la simpatia e il calore umano della driver neozelandese, ci accingiamo spavaldi ad affrontare la traversa dell' oceano fino a Heron Island. Due ore di traghetto attraverso prima una tranquilla laguna, poi il caro e vecchio Pacifico. Sebbene il sole picchi decisamente troppo, scegliamo intrepidamente di rimanere sul ponte di poppa, un po' perché sottocoperta si rifugiano tutte le famigliole con bimbi di ogni età, un po' perché l'esperienza ci ha insegnato che in mare il nostro stomaco gradisce di più l'aperto. Davanti alla nostra panchina si insinuano tre giovincelle anglosassoni nei modi e nell'aspetto. Scatta la competizione. Dopo mezz'ora di viaggio la ciurma si esibisce in un goccio di sparkling wine offerto dalla compagnia. Sarà che non è ancora mezzogiorno, sarà che sono in clima da sfida, rifiuto gentilmente ma con fermezza. Le nostre tre dirimpettaie buttano giù il bicchiere con consumata abilità. All'interno vige un atmosfera da “Ma che bell'idea, che male vuoi che faccia un goccetto, anzi ci voleva con questo caldo...” La più scafata delle tre grazie, minigonna impegnativa su polpaccio importante inforca un Ipod e gioca la carta patatine tascabili in aggiunta al vinello. Sembra giovane ma evidentemente qualche piacere della vita se l'è già concesso. Mi piacerebbe capire quali le mancano ma mia moglie non è molto dell'idea. Ok, non si familiarizza con il nemico. Dopo un'ora di traversata dal nostro punto di osservazione non possiamo non notare come l'onda dell'oceano abbia prodotto dello sconquasso nelle viscere dei passeggeri sottocoperta. La ciurma si esibisce nel famoso balletto “porta i sacchetti di carta e ritirali riempiti”. Sono sempre di più le anime candide, dai volti ancora più candidi che escono a prendere una boccata d'aria fresca. Situazione delle tre ragazzotte: il boss sgranocchia crackers con l'aria annoiata. La brigante di destra appare provata ma resiste stolida al fianco del capo, negli occhi la battaglia fra il non ricevere biasimo, e il desiderio “viscerale” di rivedere la sua posizione sul vino frizzante. La brigante di sinistra invece è spatasciata a metà via fra una scialuppa di salvataggio e la balaustra che dà sul liberatorio oceano. Situazione famiglia Bonazzi: iniziamo ad essere provati.

lunedì 1 febbraio 2010

Capitolo 48 Tassisti di notte


Per fortuna che esiste il servizio di sveglia in camera, altrimenti, se fosse dipeso da me, il ca..o di aereo per la ca..o di isola dove dobbiamo andare poteva decollare tremila ca..o volte! Ho sonno, sono le 3.00 del mattino, non ho nemmeno fatto a tempo a capire che razza di letto ci avessero dato che già l'ho dovuto abbandonare. Meno male che in un attimo di lucidità avevamo già saldato il conto della stanza, perchè se dovessi fare di conto adesso sarei in grado di rimetterci il patrimonio senza troppi problemi. In realtà sarebbe da erigere una statua alla cara ragazza che ci ha accolto in serata, che oltre a farci il conto e fissarci il taxi, si è anche assicurata che il genio del suo collega del turno di notte riuscisse a chiamarci all'ora prefissata. Impresa che ritengo non di poco conto, dacchè seduto sul medesimo divanetto alla reception riesco ad intravedere un ragazzetto di non più di vent'anni totalmente rapito da quello che ritengo essere il canale erotico via cavo. Circondato dai miei troppi bagagli, mentre attendo il taxi e accarezzo la moglie che si è riassopita istantaneamente, penso a quanto sforzo dev'essergli costato abbandonare la poltrona e il confortevole porno per venire a tirarci giù dalla branda. La vita è un ca..o di inferno ragazzo mio, è giusto che tu lo sappia da subito!

Con il concetto che in questi casi è l'uomo che deve vegliare su ciò che gli è caro, Barbara non ha mobilitato tutto il reparto neuroni in dotazione, e si mantiene in uno stato semivegetativo per tutto il tragitto verso l'aeroporto, lasciandomi in balia del tassista. Peccato, perchè l'inizio era stato promettente:

200 kg di tassista: “Where are you going?”

La bella addormentata sul posto: “Yes!”

A quel punto ho dovuto prendere in mano le redini della conversazione, e mentre Barbara tornava con tutta la mia invidia fra le accoglienti braccia di Morfeo, mi sono sorbito mezz'ora di sproloqui del panzone buontempone. Non ho assolutamente memoria del colloquio intercorso, spero non si trattasse di nulla di così fondamentale, ricordo solo una terrificante pronuncia e una parlantina a mitraglietta che mal si conciliavano allo stato semi-catatonico in cui versavo. Alla fine in aeroporto ci siamo arrivati, e pure in perfetto orario, quindi immagino di essere stato sufficientemente chiaro, almeno al momento di indicargli la direzione. Tutto il resto, come si suol dire, è storia.

lunedì 25 gennaio 2010

Capitolo 47 Benvenuti ai tropici!

La prima cosa che ci colpisce di Brisbane è il cambio di clima. Siamo partiti in un ventilato pomeriggio primaverile da Sydney, e ci si era vestiti di conseguenza. In più abbiamo preso un aereo, che significa un importante bonus di felpa e giacchetta per sfuggire ai rigori dell'aria condizionata. Scendiamo dalla scaletta dell'aviomobile e subito mi rendo conto che ci sarà da soffrire. Ma rientro immediatamente in zona recupero bagagli e il microclima aeroportuale mi ricongela immendiatamente i foschi pensieri. Da lì si prende subito un comodo treno per il centro, quindi l'impatto brusco con il clima tropicale della città lo avvertiamo solo quando ormai siamo alla stazione. Faccio solo a tempo a togliere la giacca, siamo carichi di borse e zaini e aprirne uno in mezzo alla strada per cavarne maglietta e infradito sarebbe gradito ma ahimè, assai poco agevole. E siccome disagio chiama disagio, sono solo le 20 di sera e già ogni negozio, bar e catena di fast food della stazione sono ben chiusi e sprangati. Siamo nei guai.

A Brisbane abbiamo stabilito di fermarci solo poche ore, abbiamo l' aereo per Gladstone alle 5.30 del mattino, in pratica cenare, dormire un paio d'ore e prendere un taxi per l'aeroporto sarà la nostra massima concessione alle bellezze di questa città. E siccome assieme al pernottamento non è inclusa la cena, il trovare già i locali chiusi alle otto di sera rischia di farci saltare inopinatamente la prima parte del nostro piano. Quindi ci tocca correre all'hotel, a “soli” tre isolati dalla stazione, trascinandoci dietro i nostri bagagli, dal peso lievitato esponenzialmente man mano che le nostre vacanze procedono, in una nuvola di umidità che mi è familiare per i luoghi da cui provengo, ma che ero impreparato a gestire a questa latitudine.

Arriviamo all'hotel e alla receptionist si presenta una Barbara scarmigliata e in totale agitazione all'idea di saltare un pasto, al punto da dimenticare quasi interamente l'idioma locale. Il marito invece giace su uno dei divanetti all'ingresso, ansimando rumorosamente e con vistose pezzature da sudore laddove le cinghie dello zaino incontravano i troppi vestiti. Per fortuna la ragazzotta in questione è un vero angelo, un sorriso a 32 denti che spunta a malapena dal bancone, e che distoglie dal simpatico strabismo di Venere che in altri visi si sarebbe notato maggiormente. Ci piange il cuore doverle confessare che approfitteremo dei suoi servigi per pochissime ore, ci assicuriamo che ci fissi un taxi all'orario richiesto e saliamo in camera ad indossare abiti più adatti all'umido inferno che ci separa dalla cena.

E se il primo locale ci chiude le serrande in faccia, almeno il gestore ci indica un luogo dove potremmo trovare qualche punto di ristoro aperto dopo le 21.00. Corriamo all'incrocio indicato e ci troviamo in piena night life brisbanese. Una promenade di negozi e locali ad uso e consumo dei turisti. Una sorta di Via Bafile trasportata agli antipodi, frequentata da gente di ogni età e razza, mescolati fra loro in un crogiuolo di costumi dai colori accecanti e di infradito d'ordinanza. Il primo ristorante aperto che incontriamo sulla nostra rotta, guarda caso!, batte bandiera e insegne italiane. E sono ben le 21.15! Non c'è che dire, ovunque andiamo ci facciamo riconoscere come i gaudenti viveurs della notte che altro non siamo.

giovedì 21 gennaio 2010

Capitolo 46 Il passo dell'oca


Il nostro ultimo giorno nella metropoli ce lo spendiamo in shopping natalizio, girando i grandi centri commerciali di King George Street. In realtà le nostre spese sono assai modeste, poiché girare per una città che offre di tutto senza idee chiare in testa è controproducente. Finisce che passiamo più tempo ad ammirare le splendide decorazioni natalizie dei vari negozi che non a cercare con costrutto qualcosa di carino da portare ai nostri familiari. In questo delirio di disorganizzazione mi imbatto nel negozio di abbigliamento sportivo di David Campese. A chi come me è cresciuto in una cittadina veneta, a pane e soppressa, nebbia e palla ovale, spiegare il personaggio che porta tanto nome sarebbe offensivo. Ma avendo questo resoconto di viaggio l'assurda pretesa di un po' di internazionalità, almeno oltre il corso del Brenta, mi vedo costretto a scrivere giusto due righe di presentazione.

Potrei dire che Campese è stato uno dei giocatori più talentuosi che mai abbia calcato un prato verde. Un artista del rugby, recordman di segnature con la maglia della nazionale autraliana, che un bel giorno, stanco forse di spiegare gioco ai suoi conterranei decise di mettersi alla prova oltreoceano, sbarcando, fra lo stupore dei molti addetti ai lavori, nella città del Santo. E qui, come una stella del firmamento che, ottenuta la preziosa luce dal sole, inizia pur essa a sfavillare, così i giocatori in maglia nera del Petrarca, illuminati da cotanto cristallino talento, portarono alla causa energie e valore inaspettati, contribuendo a donare a Padova lo scudetto più prezioso, quello della Stella.

Ecco, questo è più o meno David Campese. Tolta la parte dei successi internazionali ovviamente. Che furono molti, ma questo al momento è superfluo. Fatto sta che il trovarmi inaspettatamente dinnanzi il suo negozio mi azzera la salivazione istantaneamente, facendomi dimenticare due cose non da poco: a) il fatto che ho girato questa città come un cretino alla ricerca di un negozio di maglie da rugby, mentre questo era semplicemente nella stessa via del mio hotel, se non dirimpetto. E b) che io e Barbara abbiamo fatto incetta di tutti i prodotti di tal foggia nei vari altri centri sportivi che abbiamo visitato, e che quindi non abbiamo alcun motivo serio per entrare. Ma la fabulazione dell'essere in viaggio di nozze colpisce ancora. Mi fisso in testa che dentro quel negozio c'è il mio idolo e devo assolutamente vederlo ancora. Mia moglie prova pazientemente a farmi osservare che si tratta con ogni probabilità di una catena, che ce ne saranno decine in tutta Sydney, migliaia in giro per il continente, e che sicuramente Mr. Campese ha di meglio da fare che non stare al bancone del suo negozio, in attesa che qualche sciroccato entri dalla porta per rompergli le scatole su quanto la sua grama vita abbia avuto almeno un minimo sussulto assistendo ad una sua partita. Non sento ragioni, io entro.

Mi precipito dalla commessa (Diamine, David non si vede!!) (Maledetta Barbara, Ha Sempre Ragione Lei!) ripassandomi mentalmente le corrette espressioni inglesi, e le chiedo dove potrei trovare il mio eroe. “Sudafrica” risponde lei tranquillamente. E' li che Mr. Campese risiede da che ha abbandonato le competizioni. Mannaggia, manco vicino ci sono andato. Pago il tributo al mio idolo fotografando mentalmente l'arredamento della bottega, le sue foto in campo, il famoso “passo dell'oca”, le varie maglie esposte, indossate da lui in avvenimenti prestigiosi, o donate da avversari di altrettanto nobile lignaggio rugbystico. Non è stato così inutile dopotutto. Se non altro sono di eccellente umore, il che rende meno duro il distacco da Sydney. E' tempo di affrontare l'ultima parte del viaggio, la settimana nell'isola tropicale. E' difficile andarsene da qui. E' veramente una città bellissima, e ci siamo trovati molto bene.

Fra una figura di merda e l'altra.