mercoledì 14 gennaio 2009

Capitolo 3: Malintesi

Non sono preparato per questo posto. I mean: non sono preparato ad affrontare queste situazioni. I locali si rivolgono a tutti con un sorriso e un “How are you?” sincero. Questo sui depliants non c’era scritto. E’ una clamorosa usanza anglosassone che a scuola non ti insegnano e che le agenzie di viaggio omettono di dirti. Solo che, mentre a Londra e New York si limitano a chiedertelo e poi non attendono risposta, qui la esigono. E’ un buon modo per iniziare i tuoi viaggi all’estero con una profonda serie di figure di merda.

  1. Esempio: Albergo a New York. Già arrivi che sei suonato dal volo, hai trascinato le tue valige 5th Avenueper chilometri di hall, arrivi dall’ addetto e cerchi di far lo splendido con un amichevole “Good morning!” E già li ti inquadrano. Lui o lei, risponde con il meno formale “Hi!” . Poi ci attacca un “How are you?” inatteso che ti destabilizza. Allora provi a reagire, recuperi informazioni elementari che non credevi più di avere, e tenti l’interazione con un formalissimo “Fine, thanks, and you?” A quel punto l’addetto ha già controllato la tua prenotazione, ha chiuso il check in e ti ha lasciato sul bancone la chiave della tua stanza.

  2. Esempio: Albergo a Londra. Cerchi di far tesoro delle passate esperienze, come il computer di Wargames. Allora entri, London Callingaffronti deciso l’addetto e gli spari un cordiale “Hi!” in pieno viso. Lui, o lei, ti squadra malissimo, e risponde con un formale “Good Afternoon!” , mettendoci tutto il gelo della sua sfortunata, climaticamente parlando, isola. Se non altro a quel punto l “How are you?” salta per palese incomunicabilità, e si limitano a darti la tua chiave, disprezzando la tua famiglia fino all’ottava generazione.

  3. Esempio: Albergo a Melbourne. Tossisci un saluto sperando di limitare i danni. L’addetto sorride a trentaquattro denti, comunque, indipendentemente da quel che gli dici. E’ così. Saluta con “Hi!” se ti rivolgi a lui con “Hi!”. Con “Good morning, afternoon,evening, quel che è!” a seconda di come tu ti rivolgi a lui. Si adatta. Però sorridendo. E’ un’altra vita. Poi aggiunge l’ “How are you?” di pragmatica. Solo che per loro non è un pro forma. Attendono veramente una risposta e desiderano che tu lo chieda a loro. Al termine di questa breve cerimonia, quando ognuno dei due ha saputo come sta l’altro, si inizia a discutere seriamente.

Capirai! Io vengo da un paese dove, se il barista alla mattina ti fa un sorriso in più mentre ti versa il cappuccino, già ti viene voglia di saltare oltre il bancone e prenderlo a calci. Figurati se mi viene in mente di rispondere a quel che credo sia un “How are you?” buttato lì. Quindi vado avanti con le mie richieste, gettando nella costernazione i miei interlocutori. E’ chiaro che a Melbourne non mi sono fatto troppi amici, anzi.

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