Ad essere del tutto sinceri, il primissimo impatto con la città non è dei migliori. Mai stato bravo nel primo approccio con le ragazze. Mel non fa differenza. A mia discolpa devo dire che un viaggio di 25 ore non ti mette proprio nelle condizioni migliori per apprezzare o farti apprezzare da qualcuno. Sono vestito in una curiosa meta via, avevo decisamente fresco per l’inverno patavino, ora ho decisamente caldo nella tarda primavera del Victoria. Mi sottopongo ad un girone dantesco nella forma di coda alla dogana aeroportuale. Gli autoctoni hanno fatto tesoro delle tragiche esperienze passate e ora controllano che nel loro paese non entri nulla di pericoloso per la loro flora e fauna. Quindi si passa senza fallo per la quarantena, un giro per un paio di affollati corridoi in compagnia di varia umanità, di ogni genere di etnia e provenienza, che con te condividono la stanchezza di viaggi di durata geologica e un curioso odore di selvatico causa assenza di adeguate docce sui voli intercontinentali. Fortunatamente la ragazza che esegue lo scanning delle nostre valige non trova nulla di compromettente e ci permette di sbarcare sul prezioso suolo australiano. E’ fatta. Ci imbarchiamo su di uno scomodo shuttle e ci facciamo portare in città.
Scendiamo all’hotel e ci concediamo una lunga e rinfrancante doccia. Il letto è una tentazione troppo grande cui resistere, però facciamo violenza alle nostre povere membra e usciamo. E’ qui che iniziamo ad apprezzare la città. Passeggiamo senza una meta per le vie, seguendo il flusso degli abitanti. La giornata è calda e soleggiata, ma la brezza che arriva dall oceano la rende oltremodo gradevole. L’impatto con la lingua è meno cruento del temuto. Non è che non sappia l’inglese…è che non lo parlo. Non ne ho mai modo. Così ogni volta che vado all’estero ci metto due o tre giorni a mettermi nell’ordine di idee di doverlo capire ed usare. Quindi, quando ci troviamo a dover interagire con i locali, io colgo metà delle informazioni forniteci, mia moglie l’altra metà. Dobbiamo necessariamente essere in due per portare a termine qualsiasi impresa, dal check in all’albergo al semplice prendere un caffè al bar. Per fortuna a Melbourne c’è una tale varietà di razze e popoli che l’inglese che si parla è quanto di più vicino alle blande lezioni apprese al liceo.
La cosa più impattante del viaggiare con una biologa (anche dello sposare una biologa, se vogliamo!) è che in qualsiasi situazione lei tende al verde. Ciò significa che, anche nel mezzo di una metropoli di quattro milioni di abitanti, lei accende il radar per i parchi e le zone naturali e riesce sempre a trascinarmici. In Australia questo scherzo trova terreno oltremodo fertile, dacché le città sembrano costruite in mezzo al verde e ne sono addirittura compenetrate. Gli abitanti di Melbourne escono dai loro grigi uffici e si portano il pranzo in una di queste aree verdi. Affondano i piedi nell’erba e si godono la madre di tutte le pause dallo stress e dal lavoro, in compagnia dei numerosi e variopinti uccelli, delle libellule e delle farfalle. La cosa che si avvicina di più alla concezione di Paradiso secondo Barbara.
Scendiamo lungo l’argine del fiume Yarra e ci addentriamo nei giardini della regina Vittoria. Sono in un curioso mood che definirei come “tutto ciò che trovo è bello e particolare, poiché sono in Australia”. Ergo fotografo tutto ciò che si muove, colto da un qualche tipo di delirio. Le mie prime “vittime” sono un branco di skaters. Mezzo minuto dopo mi esalto nello scoprirmi a pochi metri di distanza dalla Rod Laver Arena, il tempio del tennis australiano. Mi ostino nel tentativo di fare una decente macro di una delle tante libellule, rimanendo oltremodo frustrato nel non riuscirvi. Poi accade una cosa bella. Scorgo su di un ramo un uccello mai visto che per mole soverchia tutti gli altri volatili nelle vicinanze. Se ne sta li quieto a godersi il sole primaverile. Mi avvicino il più possibile, sono dannatamente allo scoperto!, e lo inquadro nel teleobbiettivo. Dopo alcuni giorni ho scoperto che avevo fotografato un Laughing Kookaburra, uno dei simboli di questo paese, assieme a canguri e koala. E io manco lo sapevo. E l’ho fotografato per caso il primo giorno. Quel che si dice partire col piede giusto!
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