Meno male che siamo arrivati di sera, almeno alcuni dettagli si celano fra le ombre. Mamma mia, che brutto posto! Ricorda molto l’immagine delle periferie americane che decine di film e telefilm ci hanno trasmesso sin dalla prima infanzia. Una lunga strada, file di grigi negozi affacciati sulla stessa, torreggianti simboli di grandi catene di fast food che si illuminano gracchiando. Un incubo. Manca la Grocery di Clerks con le serrande bloccate dal cheving gum e qualche homeless che si scalda davanti al fuoco. Per completare il quadro abbiamo la camera fissata in un classico motel, proprio all’inizio della main (e unica!) street. Un posto pulito e accogliente. Il Bates. Ok, adesso esagero. E’ un normale motel, senza infamia e senza lode. Sicuramente triste e informale, quindi lontano dagli standard di accoglienza e cortesia a cui ci siamo immediatamente abituati durante il viaggio. Mia moglie, pazientemente, mi spiega che non sempre può andare bene. Che scegliendo l’itinerario dall’Italia, doveva fatalmente accadere che uno o più posti fossero deludenti o sorpassati, e che non tutte le informazioni a disposizione di un’ agenzia di viaggi dall’altro capo del mondo possano essere precise e aggiornate. Apprezzo la sua franchezza, e apprezzo il tentativo. Ma ormai mi sono intristito. E che diamine, ho guidato per 400 km per venire qui? Ho saltato a piè pari posti sicuramente meravigliosi, ho tirato dritto dinnanzi a località di impressionante bellezza e fascino per venire a seppellirmi in questo buco?
E’ chiaro che non è colpa di Barbara. Ma con qualcuno devo pur prendermela! Mi preparo ad uscire per la cena con questo umore mefitico. Non aiuta il fatto che sia sabato sera e che per strada non si veda un cane. Credo che con “ridente paesino, a metà strada fra Adelaide e Melbourne” la guida si riferisse SOLO ed esclusivamente alla collocazione fisica dello stesso. Quanto al ridente…beh…da quel che ho potuto vedere hanno ben pochi motivi per ridere! Un vento gelido spazza la strada. E’ la serata più fredda da che siamo qui, chiaramente!, e le luminarie natalizie che si illuminano in ogni vetrina stasera hanno più senso. Ci rifugiamo nell’unico ristorante aperto e scopriamo che probabilmente ogni abitante del luogo è qui convenuto per un party aziendale. Sono tutti vestiti da gran sera, il locale è arredato sfarzosamente e l’atmosfera è ridente e gioiosa. Io sono in jeans e felpa e scarpe da ginnastica, le cose più pesanti che avevo in valigia. Non necessariamente le più eleganti. Barbara osserva terrorizzata gli abiti femminili, le spalle nude, le gonne corte e l’assenza di calze. Fuori ci saranno sì e no 4° C.
Ordino del vino rosso, più per smaltire il fastidio che per reale necessità di accompagnare la carne. L’atmosfera di festa attorno mi acuisce il disagio. L’orrendo pensiero che mi accompagna è che la cena potrebbe costarmi quanto l’intera vacanza. Poi accade l’imprevedibile. Sul telefono di Barbara arriva un sms dalla madrepatria. E’ una cara amica di famiglia che ci saluta e ci abbraccia perché oggi è già una settimana che ci siamo sposati. Caspita, è il nostro settiversario. E noi eravamo ben lontani dal ricordarcene e dal festeggiare in qualche modo. Che vergogna!
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