venerdì 27 febbraio 2009

Capitolo 15 Viaggio bene a onde medie

Nonostante le tremende delusioni della sera prima, c’è un motivo, un unico motivo, che mi induce a svegliarmi con un filo di speranza. Ho bisogno di un cavetto che mi faccia da raccordo fra il mio Ipod, zeppo di ottima music da viaggio, e l’autoradio. Ovviamente non mi sono ricordato di comprarlo mentre eravamo a Melbourne, e i nostri primi due giorni on the road hanno avuto come unica colonna sonora l’inquietante silenzio dell’etere vuoto, giacchè la radio non capta alcuna frequenza in queste desolate lande. Oltrettutto, nei paesini visitati sino ad ora, il concetto di Ipod non è ancora arrivato. Mt. Gambier è un paesotto importante, con una discreta media abitanti e un flusso turistico considerevole. Basta trovare l’adeguato spaccio di tecnologia e il gioco è fatto.

Butto giù dalla branda mia moglie al primo albeggiare e la meno a far colazione. Voglio essere in marcia il prima possibile, annegare le delusioni in un mare, anzi un oceano di bellissime località da esplorare, fotografando ogni sorta di animale buffo e variopinto. Voglio guidare per le strade del South Australia (eh sì, ieri abbiamo attraversato il confine!), salutando tutti gli autoctoni che incrocio, con un braccio pendente dal finestrino e la chitarra di Gilmour che mi accompagna in sottofondo.
Già. Poi la realtà si intromette e il mio bellissimo piano si sgretola. E’ domenica mattina. I negozi sono chiusi. Sgambetto lungo la via ammutolito dal dolore. Il magnifico spaccio di tecnologia è chiuso. I bar sono chiusi. La gente è tutta ancora a nanna a smaltire i postumi della splendida festa di ieri. Immagino che fino al prossimo San Nicola qui di festeggiare non se ne parli più. Finalmente avvistiamo un baretto aperto, un faro di civiltà in mezzo al deserto. Mentre facciamo colazione una ventata di entusiasmo si diffonde per la cittadina e aprono i battenti addirittura altri due negozi. Il primo è una bakery. Entriamo per provvederci il pranzo. Neanche a dirlo. E’ gestita da cinesi. D’altra parte lo dice anche Vinicio: "i cinesi non chiudono mai!". Ma la sorpresa più bella me la riserva il giornalaio. Sepolto fra pile di ogni misura, tarocchi, caramelle, prolunghe telefoniche e non, rimedio anche l’agognato cavetto per l’Ipod. Bacio l’incredula commessa e scappo con la refurtiva.

martedì 24 febbraio 2009

Capitolo 14 Modi di festeggiare.

Meno male che siamo arrivati di sera, almeno alcuni dettagli si celano fra le ombre. Mamma mia, che brutto posto! Ricorda molto l’immagine delle periferie americane che decine di film e telefilm ci hanno trasmesso sin dalla prima infanzia. Una lunga strada, file di grigi negozi affacciati sulla stessa, torreggianti simboli di grandi catene di fast food che si illuminano gracchiando. Un incubo. Manca la Grocery di Clerks con le serrande bloccate dal cheving gum e qualche homeless che si scalda davanti al fuoco. Per completare il quadro abbiamo la camera fissata in un classico motel, proprio all’inizio della main (e unica!) street. Un posto pulito e accogliente. Il Bates. Ok, adesso esagero. E’ un normale motel, senza infamia e senza lode. Sicuramente triste e informale, quindi lontano dagli standard di accoglienza e cortesia a cui ci siamo immediatamente abituati durante il viaggio. Mia moglie, pazientemente, mi spiega che non sempre può andare bene. Che scegliendo l’itinerario dall’Italia, doveva fatalmente accadere che uno o più posti fossero deludenti o sorpassati, e che non tutte le informazioni a disposizione di un’ agenzia di viaggi dall’altro capo del mondo possano essere precise e aggiornate. Apprezzo la sua franchezza, e apprezzo il tentativo. Ma ormai mi sono intristito. E che diamine, ho guidato per 400 km per venire qui? Ho saltato a piè pari posti sicuramente meravigliosi, ho tirato dritto dinnanzi a località di impressionante bellezza e fascino per venire a seppellirmi in questo buco?

E’ chiaro che non è colpa di Barbara. Ma con qualcuno devo pur prendermela! Mi preparo ad uscire per la cena con questo umore mefitico. Non aiuta il fatto che sia sabato sera e che per strada non si veda un cane. Credo che con “ridente paesino, a metà strada fra Adelaide e Melbourne” la guida si riferisse SOLO ed esclusivamente alla collocazione fisica dello stesso. Quanto al ridente…beh…da quel che ho potuto vedere hanno ben pochi motivi per ridere! Un vento gelido spazza la strada. E’ la serata più fredda da che siamo qui, chiaramente!, e le luminarie natalizie che si illuminano in ogni vetrina stasera hanno più senso. Ci rifugiamo nell’unico ristorante aperto e scopriamo che probabilmente ogni abitante del luogo è qui convenuto per un party aziendale. Sono tutti vestiti da gran sera, il locale è arredato sfarzosamente e l’atmosfera è ridente e gioiosa. Io sono in jeans e felpa e scarpe da ginnastica, le cose più pesanti che avevo in valigia. Non necessariamente le più eleganti. Barbara osserva terrorizzata gli abiti femminili, le spalle nude, le gonne corte e l’assenza di calze. Fuori ci saranno sì e no 4° C.

Ordino del vino rosso, più per smaltire il fastidio che per reale necessità di accompagnare la carne. L’atmosfera di festa attorno mi acuisce il disagio. L’orrendo pensiero che mi accompagna è che la cena potrebbe costarmi quanto l’intera vacanza. Poi accade l’imprevedibile. Sul telefono di Barbara arriva un sms dalla madrepatria. E’ una cara amica di famiglia che ci saluta e ci abbraccia perché oggi è già una settimana che ci siamo sposati. Caspita, è il nostro settiversario. E noi eravamo ben lontani dal ricordarcene e dal festeggiare in qualche modo. Che vergogna!

giovedì 19 febbraio 2009

Capitolo 13 Imprevisti e probabilità

I “Dodici Apostoli” sono una splendida cattedrale in mezzo al deserto. Parcheggio, piattaforme per disabili, centro visitatori, noleggio elicotteri e aeroplani. Un chilometro più avanti, sia verso est, sia verso ovest e torni ad essere in mezzo al nulla. Meglio così. Cape Otway LighthouseE’ tempo anche di pensare a mettere qualcosa sotto i denti. Siamo in viaggio da ore e la mattinata, fra koala, fari, apostoli e cinesi è stata frenetica. A Lorne ci siamo riforniti, presso una bakery, di una delle specialità australiane, una pie,cioè una sfoglia che contiene di tutto, dalle carni alle verdure più disparate. Un cibo pratico, veloce e al contempo sostanzioso, l’ideale per i lunghi trasferimenti che sono all’ordine del giorno in questo sterminato paese.

Rubo altri dieci minuti all’implorante stomaco di mia moglie quando un cartello seminascosto e scolorito mi avverte che sono in prossimità dei “Martiri”. Siamo al cospetto di un’altra meravigliosa manifestazione della natura australiana, altre formazioni rocciose rubate dall’oceano alla terraferma, solo più basse e tozze, meno fotogeniche rispetto ai celeberrimi “Apostoli”. Deve essere per questo motivo che qui non hanno costruito parcheggi e piattaforme per poterli ammirare. Dobbiamo accontentarci di un diroccato sentiero e di un vecchio pontile di legno per avvicinarci e poter dare un’occhiata. Almeno così è tutto più naturale. Sarebbe un bel posto per fermarci a pranzare, ma il vento è ancora troppo forte per azzardarci. Così, fra le proteste ormai vibranti di Barbara, decido di proseguire ancora.

Ci inoltriamo più verso l’interno e troviamo rifugio a Nirranda. Una pompa di benzina, una stazione di ristoro, quattro case separate dalla Great Ocean Road. Il classico paese di passaggio. Ci dividiamo le nostre pies e tentiamo di mangiarle prima che tutte le mosche del Victoria vengano ad assaggiarle. Devo dire che quella alle verdure di Barbara ha il suo bel perché. Io invece ho clamorosamente sbagliato a prendere quella alla carne. Una sfoglia ripiena di un qualche tipo di ragù freddo come l’oceano, oltre ad essere pesante come un macigno, è praticamente immangiabile.

Per rifarmi del pranzo insoddisfacente, lascio l’incombenza della guida alla mia dolce metà, e mi godo il paesaggio dal sedile del passeggero. A interrompere la piacevole monotonia dei pascoli sterminati arrivano filari lunghissimi di pale per l’energia eolica, che ci accompagnano per lunga parte del nostro tragitto. La biologa naturalista che mi accompagna nel viaggio li aveva evocati più volte nelle nostre conversazioni. “Ma con tutto il vento e lo spazio che hanno da queste parti, come mai non pensano di sfruttare l’energia eolica?” Bastava chiederlo, evidentemente. Le ombre ormai si allungano e scende lenta la sera quando finalmente giungiamo in vista di Mt. Gambier.

giovedì 12 febbraio 2009

Capitolo 12 Destinazione: Mt. Gambier! Part 2 “I Dodici Apostoli”

Il mio umore si unisce in un bizzarro gemellaggio al tempo meteorologico, ed entrambi peggiorano appena parcheggiamo. Dopo giorni in cui interagiamo solo con poche e selezionate
persone, trovarmi all’ improvviso in mezzo alla super mega attrazione turistica dello stato, oltretutto di sabato mattina, mi The Twelve Apostlespiglia malissimo. Trascinato dalla moglie, e da un’innegabile curiosità, supero il mio disprezzo per il genere umano e scendo il sentiero che porta alle piattaforme. I “Dodici Apostoli” sono bizzarre formazioni rocciose, che la lenta e costante erosione dell’oceano ha separato dall’ originaria terraferma. Il forte vento da sud e le intemperie li hanno successivamente modellati in varie forme e dimensioni. Il colpo d’occhio è indubbiamente suggestivo. Questi pilastri di terra rossiccia che si stagliano sull’oceano blu e verde, di fronte all’aspra e selvaggia terraferma meritano tutta la loro fama.

Nonostante il vento faccia del suo meglio per rovinare le inquadrature e leApostles and Newlyweds pettinature, non si riesce a fare due passi senza interrompere l’idillio di centinaia di coppiette intente a farsi fare orrende foto ricordo. Ed io, che già accarezzavo l’idea di gingillarmi con qualche esposizione lunga o altri trucchetti del genere, devo rinunciarvi a causa del sovraffollamento del luogo. Sto già maledicendo tutti i presenti in ordine decrescente quando Barbara mi strappa la Canon dal collo (Oddio!), la lancia ad uno dei 300.000 cinesi in gita qui, mi abbranca in presa sicura e mi trascina a farmi fare la peggior foto di tutta la vacanza. Signore, perché io???

Per rimettermi da questa dolorosa esperienza mi chiudo in bagno a riflettere. Non siamo ancora a metà percorso, dobbiamo ancora pranzare e gli scorci da vedere sono decisamente troppi. Evitando quelli più affollati, e concentrandosi solo su quelli più isolati, dovremmo riuscire ad arrivare a Mt. Gambier prima dell’imbrunire. Questi arguti pensieri vengono interrotti dall’entrata contemporanea alle toelette dell’ennesimo nugolo di cinesi. Ora, io non ho nulla contro questo popolo, ma mi pare fuori di dubbio che il loro raschiarsi di continuo la gola, unito allo scaracchiare perpetuo non siano proprio il modo migliore per attirarsi simpatia, soprattutto fuori dal loro grande paese. Esco dal bagno con l’impressione di aver assistito alle prove di un grande concerto, a cui però non intendevo partecipare. Monto in macchina e scappo sgommando.

Evitiamo un congruo numero di attrazioni turistiche solo dando un’ occhiata al parcheggio. Se è pieno non scendiamo neppure. La costa è bellissima, frastagliata e flagellata dal vento, con scogliere assassine disseminate tutto davanti. L’equivalente dell’inferno per le prime navi che qui tentavano un approdo. Per ogni avvenuta tragedia del mare oggi c’è un ovviamente ampio parcheggio, un ceppo commemorativo, una piattaforma artificiale da cui scattare milioni di foto. Non fa per noi. E poi dobbiamo arrivare a Mt Gambier! Con una finta di sopracciglio mando i tre pullman di cinesi, che ci seguono sin dai Twelve A. , dentro uno di questi parcheggi, mentre io e la mia donna filiamo verso la libertà.

martedì 10 febbraio 2009

Capitolo 11 Destinazione: Mt. Gambier! Part 1

Ho già spiegato che vedere due macchine parcheggiate vicine, in questa stagione e su queste stradine, è un ‘evento eccezionale. Si verifica solo se nelle vicinanze c’è un bagno, un punto di ristoro con pompa di benzina, oppure se c’è qualcosa di bello da vedere. E’ per questo motivo che dietro di noi si fermano altre due macchine di turisti. I koala, scocciati da tanto sovraffollamento, si alzano pigramente e si inoltrano nel bosco. Peccato.

WarningRaggiungiamo Cape Otway e ritroviamo le amiche mosche. Sul sentiero che porta al faro campeggia un simpatico cartello giallo, ci avvisa che i serpenti sono attivi in questo periodo. Incoraggiante! Facendo moltissima attenzione a dove mettiamo i piedi raggiungiamo la nostra meta. La splendida giornata di sole fa risaltare i colori dell’oceano e della terra selvaggia attorno a noi. Come sempre, ci dispiace un sacco rimetterci in marcia e abbandonare queste località silenziose eppure coinvolgenti ed emozionanti. Ma dopo solo due curve abbiamo la fortuna di imbatterci in altri koala, stavolta madre e cucciolo, il che ci ripaga abbondantemente.



Dopo questa deviazione non possiamo più permetterci di sgarrare dalla tabella di marcia, e dobbiamo seguire la strada per Mt. Gambier senza ulteriori ritardi. Le guide ci informano che la località dove siamo diretti è un’amabile cittadina,Koala family una via di mezzo fra Adelaide e Melbourne. Da queste parti significa che procediamo verso una megalopoli. Secondo l’agenzia quindi val la pena di fare un po’ più di strada per visitarla. Peccato che il tratto che andiamo a percorrere sia proprio il cuore della G.O. Road, il più bello. Da Cape Otway a Princetown si passa da rigogliose foreste di eucalipti a vallate di pascoli sterminati. Il giallo diviene il colore predominante, punteggiato da centinaia di animali da allevamento, dai cavalli alle vacche, dagli emù alle pecore. Ogni tanto, in mezzo a queste infinite distese, intravediamo la sagoma di qualche gigantesca farm, dei veri e propri avamposti di civiltà fra tanta solitaria natura. Più avanziamo più dobbiamo farci forza e rinunciare a visitare i vari scorci panoramici che ci vengono via via indicati. Eh, dobbiamo assolutamente arrivare a Mt. Gambier!

E che ancora non siamo arrivati al punto più famoso, alla maggiore attrazione turistica di questa zona. The Twelve Apostles, i dodici apostoli. Capiamo di essere vicini quando improvvisamente il paesaggio attorno a noi cambia. Iniziamo a vedere sempre più automobili, in entrambi i sensi di marcia. Addirittura ci sorvolano dei piccoli aerei o degli elicotteri. Davanti a noi si materializzano due pullman di cinesi. Questo, ad ogni latitudine, è l’inequivocabile segnale che siamo arrivati.

domenica 8 febbraio 2009

Capitolo 10 "E' la vostra prima volta?"

La distanza da coprire per arrivare a Mt. Gambier ammonta a circa 400 km. Non proprio una passeggiata. Tenendo presente che dobbiamo arrivare prima dell' imbrunire, la scelta delle località da visitare nel tragitto dev'essere assai oculata. Viaggiare dopo il tramonto è rischioso per la quantità e la qualità degli animali che possono attraversare. Le strade sono deserte e non illuminate, se un canguro entra nel cono di luce dei tuoi fari spesso è troppo tardi per poter evitare l'impatto. Ai lati della carreggiata, su questi terreni rosso vivo biancheggiano gli scheletri di sventurate bestie di ogni sorta. Le carcasse vengono lasciate lì, in pasto ai corvi e al lento ed inesorabile ciclo della natura. C'est la vie!

Smaller than eucaliptusLasciamo momentaneamente l'amico oceano e ci lasciamo trascinare verso l'interno della regione. Il paesaggio cambia in continuazione. Le alte spiagge hanno lasciato il passo a verdi pascoli punteggiati da centinaia di pecore. Quindi a foreste sconfinate di eucalipti, dove il sole non riesce a raggiungerti. Qui domina incontrastata la felce, non quella piccola e miserabile che interriamo in qualche triste vaso sui nostri balconi, quella enorme e selvaggia che popolava il mondo all'epoca dei dinosauri. Per distrarre la moglie, che vagherebbe giorni in mezzo a queste foreste fotografando ogni singola pianta da più angolazioni, propongo una deviazione verso l'ennesimo faro. In fondo sono quasi tre ore che non vedo l'oceano!!

Ci arrampichiamo lungo una stradina semisepolta dalla vegetazione. La giornata è meravigliosa, il cielo blu che intravediamo oltre le fronde degli alberi fa da giusta cornice alla meravigliosa esperienza che faremo di lì a poco. Oltre una curva una coppia di turisti australiani è ferma sul ciglio della strada. Quando li sorpassiamo notiamo che stanno guardando le cime degli eucalipti e fotografando qualcosa. Ci suona un campanellino dentro e inchiodiamo all'istante. Tempo di attaccare il teleobbiettivo alla macchina fotografica e corriamo in strada pure noi, pronti ad incontrare un altro animale totem di questo continente: il tenero, pigro, dolcissimo Koala.Koala

Gli autoctoni ci osservano divertiti mentre corriamo come bambini da un albero all'altro per catturare più scatti possibili di queste buffe creature. La signora ci avvicina e con un sorriso complice ci domanda:" E' la prima volta che vedete dei koala, vero?" "Eh sì Madame, che vuol farci, da noi non è che proprio crescano sugli alberi!" In compenso, quando a precisa domanda rispondiamo che siamo originari di una cittadina vicino a Venezia, tocca a loro iniziare a salivare copiosamente.

venerdì 6 febbraio 2009

Capitolo 9: Paure, pericoli e doppia “P”

Durante la fase “Organizzazione viaggio nozze”, che è venuta subito dopo la fase “Sclero per il cattering” e subito prima di quella “Bestemmie per i tavoli”, la nostra idea di noleggiare una vettura che ci menasse da Melbourne ad Adelaide ha registrato opinioni diverse fra le persone che abbiamo consultato. In definitiva però l’unica vera controindicazione riguardava la pericolosità di mettersi in viaggio “da soli” attraverso un continente selvaggio e a noi sconosciuto. Come abbiamo potuto appurare un viaggio di questo tipo comporta certo dei rischi, di natura spesso completamente diversa da quelli che ci si potrebbe attendere. Ad esempio, nel tratto di G. O. Road:

  1. Non c’è traffico. La probabilità di incidenti dovrebbe essere minima. In realtà è una strada a rischio. Spesso chi guida non s’accorge di avere macchine dietro (è successo, lo confermo, stando tutto il giorno senza vedere nessuno, ti dimentichi di avere gli specchietti retrovisori!) e inchioda quando vede qualcosa ai lati della strada, siano essi animali selvatici o bellissimi scorci sull’oceano. Scende imbracciando la macchina fotografica e viene asfaltato dall’unica macchina che passava di lì quel giorno.

  2. Quando parcheggi hai una discreta paura europea che ti forzino il bagagliaio e ti massacrino le valigie. Questo però nel downunder non succede. Rubare non è permesso, ricordiamolo! Certo, magari un aitante surfista può portarsi via tua moglie, ma questo a volte può essere addirittura un bene, non lo considererei esattamente un rischio.

  3. Non passa nessuno. I paesetti sparsi lungo il litorale sono distanti fra loro parecchie miglia. Quando avverti il familiare stimolo sotto la cintura, è difficile non assecondare la tentazione di scendere ad annaffiare il prato. Improvvisamente ti sovviene che tutte le bestie vagamente pericolose, se non mortali, esistenti al mondo, in Australia hanno trovato confortevole habitat, e blocchi il piede prima che questi raggiunga il suolo. Nel breve tratto che va dalla tua auto al primo cespuglio sai che puoi calpestare di tutto. A parte gli squali per ovvi motivi, e i coccodrilli, che la guida mi assicura vivano molto più a nord, potrei tranquillamente imbattermi in ogni sorta di serpenti, ragni o scorpioni, tutti in eguale misura velenoserrimi. Quindi decidi di tener duro fino alla prima area di sosta. Quando i mugugni e brontolii della parte femminile della macchina diventano insostenibili, essa appare all’ orizzonte. Tu credi di trovarti nel classico bagno pubblico lungo una superstrada, ed inizi a storcere il naso già nel parcheggio. In realtà è un pezzo di paradiso. I bagni sono chimici, viene raccolta ed utilizzata l’acqua piovana e sono pulitissimi. Davvero. Sembra incredibile.

martedì 3 febbraio 2009

Capitolo 8 Sussurri e grida

Lasciamo, non senza rimpianti, Lorne e ci mettiamo in marcia verso la seconda tappa, la località di Mt. Gambier. Nuvole minacciose e un vento implacabile ci rincorrono lungo tutto il tragitto. Le condizioni ideali per chi deve sciropparsi un bel po’ di chilometri in macchina, dal momento che, quando il sole fa capolino e il vento si placa, la temperatura si alza considerevolmente. Inoltre lo scenario delle nuvole sull’oceano è decisamente coreografico. Cloudy landscapeFinora siamo stati fortunati, niente da dire. Riprendendo il viaggio, noto che, dalle auto che incrocio, proviene uno strano gesto. Il guidatore alza uno o due dita dal volante, nel breve attimo in cui i nostri sguardi convergono. Ieri il mio cervello ha registrato questo fenomeno, ma ero troppo teso per focalizzarlo. Oggi decido di indagare. Non è facile, dal momento che mi occorrono almeno una macchina davanti e una che arrivi dalla corsia opposta. Tre vetture su questo tratto di strada credo sia un evento celebrato a caviale e champagne, ma, ad un tratto, l’allineamento dei pianeti è favorevole, e il rito si compie. Scopro l’arcano. Il fantomatico gesto altro non è che…un saluto! Cioè, gli autoctoni in giro sono talmente pochi che, quando si incrociano in auto, si salutano. Un po’ come da noi i motociclisti.

Immaginatevi la tangenziale di Mestre alle 8.00 di un mattino qualsiasi. La gente bloccata in coda che si saluta da un’auto all’altra. Fantascienza. Appena svelo l’arcano mi rendo conto che ieri mi hanno salutato tutti e io non ho risposto mai. Per rifarmi della villania che ho mostrato, decido di salutare chiunque, e di più! Quando all’ orizzonte appare un qualsiasi veicolo, inizio a sparargli i fari, metto le quattro frecce e mi sbraccio fuori dal finestrino. Un bambino.

Sea starPer fortuna la gente qui è proprio poca. Troviamo una vettura parcheggiata sul ciglio della strada, a pochi passi da una bellissima spiaggia. Decidiamo di fermarci anche noi, almeno il tempo di fare qualche foto. Lo spettacolo delle nuvole che si rincorrono sopra l’oceano mi attira a tal punto che scordo la moglie, e quasi non mi accorgo delle onde che mi lambiscono le scarpe. Un paio di stelle marine mi danno il benvenuto sul bagnasciuga. La proprietaria dell’automobile notata poc’anzi, passeggia pigramente sulla riva. Un momento idilliaco. Per molti ma non per tutti. Barbara non apprezza. Lotta contro il vento e le mosche che le impediscono di apprezzare in pieno lo spettacolo naturale che la circonda. Il suo proverbiale self control va a farsi benedire. Urla e gesticola per attirare la mia attenzione.

B.: “HAI CHIUSO LA MACCHINA???”
N.: “Sì!”

Il vento le impedisce di udire la mia risposta serena e pacata. Allora insiste:

B.: “HAI CHIUSO LA MACCHINA???”
N.: “Sì!”

Niente da fare. Alza la voce ancora di più.

B.: “HAI CHIUSO LA MACCHINA???”
N.: “Sì!”

Disperata.

B.: “HAI CHIUSO LA MACCHINA???”

A quel punto provo a cambiare strategia.

N.: “NO!”
La tipa in spiaggia: “Così capisce!”

Una sola persona nel raggio di 1000 km e parla italiano. O almeno, ne parla quanto basta per farsi beffe della povera Barbara. Priceless!