martedì 15 settembre 2009

Capitolo 42 E cinque cose da fare ASSOLUTAMENTE a Sydney part 3

4. Fare dello shopping mirato

Dopo tanti giorni spensierati giunge alfine il momento di iniziare a pensare a quel che ti attende quando farai ritorno. E’ blasfemia dover pensare a tutto ciò mentre sei ancora immerso nell’atmosfera gioiosa della metropoli, ma quando a casa ti attendono orde di parenti e amici famelici di souvenirs e regalini vari, organizzare una giornata di shopping mirato è assolutamente necessario. Per mia fortuna la donna che ho sposato è cintura nera di organizzazione, sia che si tratti di gestire un viaggio di nozze dall’altra parte del mondo, sia che la missione sia far coincidere l’esplorazione della città con una puntata nei negozi che sembrano interessanti. E’ per questo che di Sydney porterò sempre con me le immagini della baia, della splendida Opera House, del Harbour Bridge, dell’acquario e dei superbi centri commerciali!

Sydney

Fra i regali che devo assolutamente recuperare spicca la curiosa richiesta di un amico. “Sei in una terra ricca di tradizione rugbystica. Vedi se riesci a procurarti la maglietta n.7 dei Cruzeiros, ci terrei molto!” E io, da bravo bambino giro per la città fermandomi ad ogni negozio sportivo. In uno di questi trasmettono in differita una partita della Roma. Sono lontano dalle vicende sportive del mio paese da due settimane, e qui addirittura mi fanno vedere la Magica! Tergiverso con maglie, felpe e cappellini per una mezz’ora buona, facendo la disperazione di commessi e moglie, solo per riuscire a vedermi la fine del match, rischiando di scoprire il mio gioco esultando smodatamente quando, al novantesimo passato, i giallorossi segnano il gol della vittoria. Ma se con il calcio ho fortuna, con il rugby sembra non esserci trippa per gatti. E sì che in esposizione ci sono maglie di club di ogni genere, misura e disciplina sportiva. Ma quando chiedo la maglietta dei cruzeiros i commessi scrollano le spalle e se ne vanno seccati. Ingenuamente credo sia orgoglio, cioè probabilmente a loro non sta bene che nei loro bellissimi e fornitissimi negozi sportivi arrivi un italiano e chieda giusto l’unica maglia che non hanno, quindi se ne vanno perché sono troppo educati per mandarmi a remare in modo inequivocabile. Poi finalmente, arrivato al decimo negozio, un commesso si fa coraggio e mi spiega che non tengono le maglie delle squadre straniere.

Cioè…io ho girato per la capitale (di fatto!) australiana chiedendo la maglietta di una squadra neozelandese. Anzi peggio. Io chiedevo a gran voce la maglietta del capitano della nazionale neozelandese nei negozi del centro di Sydney. Un po’ come recarsi a Milanello e chiedere l’autografo di Materazzi. Ci credo che tutti mi guardassero male!

mercoledì 9 settembre 2009

Capitolo 41 E cinque cose da fare ASSOLUTAMENTE a Sydney...part 2.

3. Fare i turisti della domenica

La totale assenza di schiamazzi notturni, e una piacevole e fresca brezza oceanica ci spingono a tenere le finestre spalancate durante il riposo notturno. In tal modo, allo spuntare dell’alba,abbiamo modo di apprezzare i preparativi, l’allestimento e il successivo svolgersi del simpaticissimo e chiassosissimo mercatino del quartiere, che, manco a dirlo!, ha il suo naturale epicentro giusto nella via sotto il nostro hotel. A quel punto il demone dello shopping, tenuto faticosamente a bada (tranne qualche sparuto caso) durante le nostre scorribande, si impadronisce della dolce metà, la quale, non paga dell’ avermi buttato fuori dal lettone ad orari improponibili, si getta fra gli stand sventolando valuta di ogni nazionalità.

Parecchio tempo e denaro dopo, il demone viene placato e, carichi di sporte di ogni peso e misura, ci rechiamo a quello che è supposto essere il main event della giornata, ovvero la crociera sulla baia. Devo ammettere che quando ce l hanno proposto avevo storto parecchio il naso prima di accettare l’idea. La crociera, complice il lavoro che faccio, mi sembra un modo di viaggiare vecchio e noioso, in poche parole poco adatto a noi. Mi sbagliavo. Il tour in nave per tutta la baia è il modo migliore per farsi l’idea della città, e per goderne appieno la bellezza. Poi ci sono modi e modi di vivere la medesima esperienza, e il poterli studiare farebbe la gioia di qualsiasi antropologo. Il costo del biglietto copre un giro di un paio d’ore lungo le insenature di Sydney e un sostanzioso buffet sottocoperta. Dopo pochi minuti inizio a sospettare che quest’ultima sia l’attrazione principale per la maggior parte dei partecipanti. I tavoli del cibo sono presi d’assalto a più e più riprese, gli sguardi sono rapiti più dal crostaceo che non dalle vetrate fuori dalle quali scorrono le meraviglie della città, il numero dei camerieri impegnati è tre volte maggiore quello dei marinai, la qual cosa, non so perché, mi agita.

Dopo essermi anch’io abbondantemente rifocillato, non intendo negarlo, salgo sul ponte esterno per una sessione estrema di fotografia. Del centinaio di partecipanti alla gita a raggiungerci all’esterno sono poco più di una ventina, la maggior parte famiglie con figli troppo piccoli per costringerli a stare seduti a tavola due ore.

Sydney Bay
Frustrati per non aver potuto cremare ogni singola lisca rimasta, si sfogano fotografandosi l’un con l’altro sino alla quarta generazione. Poco male, l’ampio giro per la baia e la bellezza della giornata ci pongono nelle condizioni ideali per guardare con accondiscenza tutto il genere umano, non solo lebestie digiune da mesi che sotto di noi stanno leccando anchele pentole, e sbarchiamo sazi spiritualmente ancorché nel fisico.


lunedì 7 settembre 2009

Capitolo 40 E cinque cose da fare ASSOLUTAMENTE a Sydney

Non sarà l’ Hilton ma di certo anche l Holiday Inn è un gran bel posticino per passare la notte. Entriamo in una hall spaziosa e accogliente, dominata da un enorme albero di Natale. Alla reception ci accoglie una ragazza carinissima, in possesso di un italiano migliore del nostro, che finge di non notare il nostro aspetto da profughi e ci dà un benvenuto caloroso. Doccia rigenerante, vestizione adeguata al nuovo clima, sorrisetto ebete e via, usciamo a prendere possesso di Sydney.

1. Trovare le migliori condizioni climatiche possibili.

Rimanendo nelle vicinanze dell’albergo abbiamo modo di visitare il porto vecchio. “The Rocks” era divenuto con gli anni il quartiere più malfamato della città. Negli anni settanta/ottanta si è assistito ad un’opera di risanamento energica e mirata, che ha portato alla scomparsa degli edifici fatiscenti e della malavita, e alla nascita del polo turistico che è oggi. Ceniamo in uno dei tanti ristoranti che si affacciano su questi stretti vicoli e ci lasciamo contagiare dal clima del saturday night del popolo del Nuovo Galles del Sud. Per tentare di digerire l’ennesima grigliata e i bicchieri di rosso locale, generoso ma traditore, passeggiamo senza una meta precisa nel dedalo di viuzze fino a sbucare nella splendida promenade che circonda la baia. Questo è lo spettacolo che ci si è presentato.

Sydney Opera House

2. Tuffarsi nella Dolce vita.

Dopo lo spettacolo della luna piena sulla baia non c’è molto altro che potrei chiedere alla vita, almeno non nella stessa serata. E’ quindi con estrema soddisfazione che riportiamo le nostre stanche membra in hotel. Peccato che siamo gli unici a pensarla così, nel vicolo su cui le nostre finestre si affacciano è in pieno svolgimento la movida del sabato. Quindi nel tempo che impieghiamo a lavarci i denti e metterci in branda tutti i rumori e gli schiamazzi cessano. Ore 23.30. La serata è già finita. Ricapitolando:

· Ore 16.00 Fine lavoro.

· Ore 17.00 Fine Happy Hour.

· Ore 19.00 Fine cena.

· Ore 23.30 Fine Sabato sera

· Ore 24.00 Nanna.

Modesti? Forse. Il punto è che si divertono così, bevono fiumi di birra, ballano e si devastano come i loro coetanei di tutto il mondo. Con la differenza che al mattino dopo non devono necessariamente dormire fino al pomeriggio per recuperare il sonno perduto, e possono correre a far surf appena il sole si leva.

giovedì 27 agosto 2009

Capitolo 39 Cinque cose da NON fare a Sydney

1. Non dare troppe informazioni alle guide.

Appena scesi dall’aeroplano abbiamo chiesto informazioni per dirigerci al nostro albergo. In Australia anche l’impiegato più meschino e umile si sente in dovere di intrattenerti mentre sbriga le tue pratiche, quindi il motivo del nostro viaggio salta fuori due o tre volte al giorno. Solo che la sagoma in questione non si accontenta di farci un sacco di complimenti e di augurarci ogni bene. No, lui molla lo sgabbiotto delle informazioni e ci mena di persona al terminal del nostro pulmino, infastidendo gli altri passeggeri con i dettagli della nostra vacanza.

2. Non prendere il bus navetta di quel tizio.

Mi piacerebbe ricordare il nome dell’autista e della sua compagnia, perché è stato veramente l’unico vero stronzo autoctono incontrato. Questo dato di fatto oggettivo, unito al fatto che dopo dieci minuti di sproloquio sul nostro conto io stesso ne avrei avute le scatole piene di me medesimo, fa sì che, dopo aver gettato di malagrazia i nostri bagagli nel container, si rifiuti di ascoltare la nostra destinazione finale e parta verso la città a tutta birra. La situazione all’interno del pulmino è dunque questa: nessuno ha mai incontrato uno stronzo in Australia e nessuno ha mai viaggiato verso Sydney a 100 all’ ora, smadonnando verso ogni altro autoveicolo. Ad ogni fermata scende una coppia che ringrazia Dio di essere viva e se ne va senza salutare l’idiota alla guida e gli italiani in viaggio di nozze, rei, loro malgrado, di averlo inacidito a tal punto.


3. Non farsi prendere dal panico.

Ricapitolando: sono sveglio dall’alba. Ho preso un volo di tre ore, di cui gli ultimi quindici minuti sono stati fra i più brutti della mia esistenza. Sono vivo per miracolo ma l’autista sembra intenzionato a rimediare a questo errore cosmico. Se non m’ammazza la sua guida lo faranno gli altri passeggeri, nel comprensibile tentativo di guadagnarsi la sua simpatia. In questo clima d’odio che si respira in cabina non v’è da stupirsi se decido di scendere alla prima occasione propizia. Il pulmino ferma nei pressi di un hotel. Guardo il nome della via, e Diamine!, è proprio quella del mio Hotel! Chiaro come il sole, lo stronzo manco ci avvisa che siamo arrivati, e già si sollazza all’idea di portarci in giro per tutta la città, fino a trovare un angolino riparato dove, con la complicità del buio ormai calato, fare orrendo scempio delle nostre membra. Hai fatto male i tuoi conti, scampaforche! Mia moglie riposa tranquilla sul sedile posteriore, dopo avermi implicitamente affidato la sua sicurezza e la nostra destinazione finale. Non ti deluderò tesoro!! Trascino Barbara giù dalla trappola infernale, recupero i miei bagagli e zittisco le proteste dell’autista assassino. Se ne va scrollando le spalle. E’ finita maledetto sociopatico, non ci avrai, rassegnati con dignità.

4. Non… (non voglio rovinarvi la sorpresa!)

Barbara dormicchiava. Ha una certa stanchezza accumulata, un po’ di tensione per l’atterraggio mista allo sgomento per la guida del nostro mancato carnefice. La strappo al suo riposo e questo non le giova. La abbandono momentaneamente di fianco ai bagagli, sperando se ne curi. Un giovinastro in divisa approfitta del suo evidente stato confusionale e le ghermisce le valige. E’ troppo. Una vena blu inizia a pulsarle sotto la pelle trasparente della tempia. Inizia a sbuffare e a battere il selciato con lo zoccolo, come un toro che si prepara a caricare. Per fortuna la lucidità torna a farsi strada nel provato cervellino e il massacro non avviene.

A parziale scusante di quanto sin qui avvenuto, e di quanto andrò a narrare di seguito, devo qui elencare un paio di quelle che in tribunale verrebbero chiamate circostanze attenuanti. Sydney è la penultima tappa del viaggio. Se avete seguito le nostre avventure sin qui saprete che non ci siamo concessi granché in fatto di lussi e comodità, soprattutto in fatto di hotel e ristoranti. Ecco perché quando si è trattato di scegliere l’ ultimo alloggio (l’ultima tappa è sull’isola, c’è un solo resort, tutto da descrivere, quindi l’ultimo albergo da scegliere è stato a Sydney.) ci siamo concessi la prenotazione presso una catena importante.

Un inserviente che ci raccoglie il bagaglio non l’abbiamo mai trovato. Ecco perché Barbara si prepara alla pugna, salvo poi desistere quando ricorda l’equazione Sydney = albergo figo. Facciamo così il nostro trionfale ingresso all’ Hilton. Il lusso delle rifiniture si unisce allo sfarzo degli ospiti vestiti in pompa magna. In fondo è sabato sera, siamo sotto Natale, la cena aziendale di fine anno negli hotel più rinomati è un classico. E noi siamo arrivati qui dritti dal deserto, bermuda e scarpe da ginnastica, sporchi e pieni di polvere rossa fin sui capelli. Corriamo alla reception intimoriti e fuori luogo come raramente ci è accaduto in vita. Troviamo un ragazzino compito e gentile di non più di vent’anni, quindi a sfoggiare il sorrisone e il blando inglese tocca alla signora. Tira fuori il book dei vaucher, estrae quello relativo a Sydney e glielo rifila, sperando di ottenere una stanza nel minor tempo possibile, in modo da poterci levare quanto prima dall’imbarazzante situazione. E ovviamente il giovanotto sparisce. Dopo cinque minuti, in cui tutti quelli che transitano per la hall, compresi sindaco e assessore alla cultura, sentono il desiderio di umiliarci per la nostra orrenda condizione, torna con una piantina della città in mano. “Ecco, noi siamo qui, voi dovete andare qui, vedete la strada è quella giusta ma è parecchi isolati da qui, vi conviene chiamare un taxi…”. Mi sa che l’inglese di Barbara peggiora quando ha sonno. Intervengo: “No vede, noi abbiamo la prenotazione, qui dice hotel Holiday Inn, George Street, Bonazzi, honeymoon ecc. ecc.” “Appunto!”

Ah, ok, forse ci sono…la strada è giusta, ma c’è un altro albergo più avanti, Hilton è una super catena, ce ne saranno due o tre qui a Sydney, siamo scesi a quello sbagliato, sfortunella!

“No mister, the name of the street is correct, but..” “But???” “The reservation is for Holiday Inn. This is HILTON!”

La quarta cosa da non fare a Sydney è quindi: Non confondere un hotel per un altro, cribbio!

5. Non lasciare che l’ orgoglio prenda il sopravvento.

Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio il consierge prende in mano la situazione e ci mostra dove dobbiamo andare. Perfetto, tutto chiaro, ora dobbiamo solo recuperare i nostri bagagli dalle mani dei fattorini. Non contenti della grassa figura rimediata dobbiamo pure spiegarla alla bassa manovalanza per riavere ciò che è nostro. Come ampiamente comprensibile ci scherzano per un quarto d’ora, supplicandoci di rimanere lì nonostante tutto, dal momento che ”Holiday inn sucks!” Alla fine hanno pietà di noi e ci rendono le borse, offrendosi di chiamarci un taxi. E lì, non pago della mia già pietosa condizione, ho un sussulto d’orgoglio e rifiuto. Non saranno un paio di isolati a piedi a spaventarci, non dopo questa orrenda giornata.


Lascio alla cartina il compito di spiegare cosa ha comportato questa sciagurata decisione. Google maps mi dà una distanza da un hotel all'altro di 1,2 km, pari a trenta minuti di cammino in parziale salita, un afoso pomeriggio estivo, vestiti di tutto punto, zaino in spalla e trascinando due borsoni da venti chili. Una volta arrivato all Holiday Inn non avevo più il coraggio di entrare!

martedì 25 agosto 2009

Comunicazione di servizio

Sabato 22 Agosto:


Grazie alle mie amicizie altolocate ho rubato un passaggio televisivo dentro il Tg regionale di 7 Gold. Che dire: troppe faccette. Troppe zeta. Decisamente troppo rugby, alla domanda sulla Celtic League volevo sprofondare. Un paio di passaggi rivedibili, dovuti sicuramente all'emozione, ma che andavano gestiti meglio, tipo la nebulosa descrizione iniziale e il pessimo "Non è un libro per vecchi!"

In compenso ho beccato la telecamera quasi sempre, e se le luci dello studio sottolineano la mascella sporgente e il pallore cadaverico, forse, ma dico forse, un pochino mi smagriscono pure.

Prossimi obbiettivi: la diretta nazionale dentro il programma di liscio del mezzogiorno e della sera. Conquistiamo il pubblico dei più giovani!!!

mercoledì 19 agosto 2009

Capitolo 38 Terrore a bassa quota

Sono in debito di un riepilogo della nostra esperienza nel Never Never. A conti fatti le due escursioni all’interno dei monti sacri ci sono piaciute parecchio: lo scenario con gli indescrivibili giochi di luce e colori, l’incredibile fortuna di visitare luoghi inospitali nel momento più favorevole possibile, la fascinazione e la sacralità che il paesaggio ispira. Per questi motivi valeva assolutamente la pena venire a darci un’ occhiata. Quello che proprio non c’è piaciuto è stata la dimensione del resort. Fermo restando che le ragioni che portano alla sua nascita sono le migliori, cioè il voler raggruppare in strutture sorvegliate tutto il turismo che transita nella zona, per noi che venivamo da dieci giorni di vita eremitica lungo la Great Ocean Road, trovarci nel deserto con centinaia di altre persone ci ha pesantemente condizionato. Per ritrovare la quiete e serenità perdute quale destinazione poteva essere più appropriata di una metropoli mondiale qual è Sydney?

L’attesa un po’ troppo lunga nel minuscolo aeroporto di Ayers Rock ci dà modo di spedire un po’ di mail di aggiornamento sulle nostre condizioni. Siamo in viaggio di nozze, siamo nei luoghi che abbiamo sempre desiderato vedere, siamo in clima “nuvoletta rosa”, insomma possiamo tranquillamente sollevare una certa qual invidia nei destinatari dei nostri rapporti. Poi montiamo in aereo. Poi decolliamo. Poi arriviamo a Sydney e ci prepariamo a scendere. Poi scatta il terrore.



Come si evince dalla mappa, le piste per gli atterraggi e decolli sono site su una striscia di terra esile quanto una promessa, e circondata dalle acque della baia. Nell'imboccarla il pilota sorvola questo tratto di mare abbassandosi sempre di più ed esponendosi ai venti che dall’oceano soffiano incontrastati fino alla città. La soggettiva da un sedile di un aeroplano in planata è quindi la seguente: oblò a destra, acqua. Oblò a sinistra, acqua. I colpi di vento, le conseguenti sbandate e i vuoti d’aria permettono di apprezzare che anche sotto l’aereo altro non vi è che acqua. Il sospetto che il pilota abbia perso il controllo del veicolo e stia tentando un improbabile ammaraggio inizia a diffondersi fra i passeggeri. Le hostess sono sedute ai loro posti, le cinture allacciate, le mani in grembo. Il trucco è capire se sono abituate a queste condizioni quando atterrano in questa zona, oppure se i loro sorrisi sono più tirati e falsi del dovuto. Niente da fare, evidentemente la Quantas arruola le sue crew fra i giocatori di poker professionisti. E tu continui a scendere assieme al maledetto apparecchio verso quello specchio d’acqua cupo e agitato dai marosi, ballando al vento come una piuma e trattenendo la colazione con i denti finchè, quando ogni speranza è ormai perduta, e già un rauco grido inizia a farsi largo nella tua gola, le ruote del carrello toccano terra.

martedì 18 agosto 2009

Capitolo 37 Picnic ad Ayers Rock.

L’ immediato autocostituentesi comitato degli italiani all’estero organizza tosto una meravigliosa grigliata per la serata, per dar modo a quella minima parte di turisti, che ancora non s’è accorta che qui ci sono degli italiani in vacanza, di ascoltarli nella celebre versione della serale caciara di gruppo. A malincuore, ma molto a malincuore siamo costretti a rinunziarvi. E’ un dolore che porterò sempre con me. Chiudiamo nuovamente le nostre valige e scendiamo a cena protetti dal crepuscolo per non farci vedere. Prima di ritornare in camera propongo un giro notturno attorno al resort per godere della luna nuova, ma un paio di urlacci di mia moglie, uniti a quelli in lontananza di chissà quale fiera mi convincono a saltare anche quell’esperienza. Per fortuna non mi perdo un’eccitante sveglia alle 3.30 del mattino, uno di quei sottili piaceri che mi spinge ad ululare come un dingo per la felicità

Il ritrovo è fissato alle 4 del mattino di fronte al resort. Uno stupendo cielo stellato e un freddo apocalittico fanno da cornice ad un gruppo di zombie che scambiano a malapena quattro parole e attendono i caldi e confortevoli sedili del pulmino come un bambino attende il gelato. Ci scarrozzano fino ad Uluru e ci mollano ai piedi della roccia sacra, appena in tempo per godere dei primi raggi del sole nascente. Un paio di puffi, leggi soliti cretinetti in gonnellina-infradito-canottierina, cianotici per il clima rigido, rientrano nel bus e non li rivedremo fino al solstizio. Priceless.

Ayers Rock

I cambi di colorazione di Uluru all’alba ripagano abbondantemente della levataccia. Facciamo un ampio giro della roccia e ci ritroviamo immersi in una natura verdeggiante e rigogliosa, sempre per merito delle piogge dei giorni scorsi. Nonostante la temperatura in rapida ascesa, conservo un ricordo del famigerato deserto australiano come un posticino accogliente rispetto alla pianura padana in agosto. Un veloce giro al centro visitatori e poi ripartiamo verso il resort. Qui recuperiamo i nostri bagagli e ci dirigiamo al minuscolo aeroporto di Ayers Rock. Prossima destinazione: Sydney!