martedì 23 marzo 2010

Capitolo 51 For the Birds

Distratti dalla marea rossiccia passiamo l’ultima mezz’ora di navigazione che ci separa dall’isola. Man mano che la spiaggia si avvicina iniziamo ad avvistare qualche esemplare della fauna tipica di questi luoghi, cioè vari stormi di uccelli pescatori e qualche guizzante abitante dei mari. A dispetto del mio fisico da giocatore di bocce, non vedo l’ora di infilarmi un costume e una maschera! Fa un bel caldo per essere dicembre, e la marea rossiccia è rimasta al largo, quindi un bella nuotata rinfrescante sarebbe proprio l’ideale. Ma prima c’è da espletare un po’ di burocrazia. Ci radunano in una capanna e ci danno alcune dritte sull’isola: non toccare nulla di vivo, il sole brucia, non disturbate gli uccelli. In effetti ci troviamo in una riserva nazionale, la presenza umana è prevista ma dev’ essere quanto meno invasiva possibile per le specie animali che qui risiedono. Non dovrebbe essere necessario ribadirlo, ma essendo il resort occupato prevalentemente da italiani e altri europei, ricordare le regole del vivere (civile!) in una riserva naturale non guasta.



Il bungalow assegnatoci non ha serratura, su quest'isola pare non si usi. Passi, appenderemo ovunque cartelli minatori quando necessiteremo di privacy, giusto per non ripetere le poco eroiche gesta di Sydney. Ogni nostro avere finisce quindi nella capace pancia della cassaforte del resort, comprese le nostre fedi nuove fiammanti alle quali iniziavamo appena ad abituarci. Appena entrati, i bellicosi propositi di spiaggia e mare vengono meno e la stanchezza dell'ennesimo spostamento mattutino, unita alla scomodità dello shakeramento marittimo prende il sopravvento. Di conseguenza è solo dopo una robusta pennichella pomeridiana che iniziamo la ricognizione della nuova realtà che ci circonda. Il primo rilevante aspetto è la nutrita presenza di pennuti. Se la razza umana qui ha un avamposto confortevole benchè ridotto, gli uccelli sono gli indiscussi padroni del territorio. A parte l'airone che presta il nome all'isola, i grandi alberi di Pisonia, la specie dominante in quest'isola, sono letteralmente invasi dai nidi del Black Noddy, una sorta di uccellaccio nerissimo a parte la testina bianca. Essendo periodo tardo primaverile il cicaleccio continuo ed assordante delle madri che rimangono al nido ad accudire i piccoli appena nati è la costante colonna sonora della giornata. Camminando occorre fare attenzione ad un'altra specie, le Buff-banded Rail, sorta di piccole quaglie che prediligono il cammino al volo, e girano fra le foglie cadute smuovendole alla ricerca di cibo per gli immancabili pargoli al seguito. I sentieri per gli uomini sono quindi una gigantesca trappola di guano, fra quello che piove dal cielo e quello che si accumula per terra, ma dopo il primo momento di comprensibile smarrimento, gli ospiti iniziano ad accettare le inevitabili macchie con un sorriso complice. Mal comune in fondo è sempre mezzo gaudio. Certo nelle ore più calde l'odore a volte non è proprio quello che assoceresti al paradiso, ma la brezza oceanica tende a disperderlo molto prima che inizi veramente a dare fastidio. Insomma, se per vivere cinque giorni in un eden tropicale siamo costretti a dividerlo con un esercito di pennuti, con tutto quello che questa convivenza può offrirci, beh, dal poco che abbiamo visto finora ci sembra un prezzo accettabile.

Huey, Dewey e Louie

Quello che non sappiamo è che dobbiamo ancora fare la conoscenza della specie di uccelli più invasiva, i Muttonbirds. Ogni tanto ai lati dei sentieri dei cartelli indicano dei buchi nel terreno dove questi simpatici alati pescatori hanno posto la loro residenza. Quando il sole volge al tramonto questi deliziosi pendolari del mare rientrano ai loro nidi e iniziano a cantarsi la ninna nanna l'uno con l'altro. Ogni coppia di turisti riceve in dotazione due paia di tappi auricolari per il sonno notturno. Infatti il canto notturno dei Muttonbirds si rivela particolarmente fastidioso e decisamente poco conciliatorio, tenendo conto del fatto che il rumore a cui più assomiglia è una metavia fra l'ululato dei coyote in amore e il pianto notturno dei neonati. Sospetto che questo micidiale mix, soprattutto nel secondo ingrediente, influisca in qualche subdolo modo sul subconscio delle donne sull' isola, se è vero che al mattino le occhiaie da sonno agitato sono molto più visibili sulle portatrici di cromosoma doppio x che non sui partners. Anche nel mio piccolo nido familiare la situazione notturna vede il sottoscritto dotato di tappi farsi delle grasse dormite a qualsiasi orario, mentre la moglie è costretta a recuperare al mattino o al pomeriggio le ore di sonno perse durante la notte.

martedì 16 febbraio 2010

Capitolo 50 Familiarizzare con lo "Swamping"

All'orizzonte appare un isola. I naviganti si aggrappano alla speranza che la tremenda traversata volga al termine, e si riversano festanti sui ponti, attendendo il momento di rimettere i piedi sulla terraferma. La barca procede, l’isola rimane, lo scoramento impera. L’oceano non lesina i suoi colpi migliori, e dopo un’ora e mezza il numero di superstiti con ancora in corpo la colazione è drammaticamente sceso a poche unità. Tra questi militiamo ancora io, Barbara e la ninja capo delle sfitinzie, mentre le due giovani paddawan, dopo aver rivisto ogni pasto fino al latte materno, hanno ripreso quella tranquillità e scioltezza che caratterizza chi ormai non ha più nulla da perdere. Purtroppo devo fastidiosamente riconoscere che la sfida sta volgendo a favore della nostra dirimpettaia. Io e mia moglie stiamo mettendo ogni energia nel tentativo di mantenere lo stomaco entro ragionevoli limiti di rollio, e la situazione sta precipitando di minuto in minuto. Di contro, la malvagia minigonnata continua imperterrita a rovesciare nello stomaco ogni sorta di cracker/biscotto, incurante degli sguardi d’odio che ogni persona che passa le lancia, due secondi prima di ripercorrere la via verso il rinfrancante parapetto. E’ chiaro che abbiamo scelto male l’avversario per il nostro contest: se le due pulzelle ci hanno dato grosse soddisfazioni in termini di corsa all’oceano, è ovvio che la terza dev’essere stata partorita sul dorso di un cammello, imbarcato clandestinamente su un due alberi in traversata solitaria dell’Atlantico. In una notte di tempesta.

La navigazione prosegue. Sul mare appaiono chiazze marroncine di natura ignota. Col pretesto di osservare più attentamente questo mistero biologico ci accaparriamo un posticino mica male sulla balaustra, vista oceano, soleggiato e ampiamente ventilato, dotato di tutti i servizi essenziali. Sembra essere il preludio alla nostra disfatta, una semplice manovra di avvicinamento alla nostra destinazione finale, il contest di spantasso in lungo con gli altri naviganti della domenica. Eppure la manovra riesce: il vento in faccia e la bizzarra colorazione delle onde ottengono l’effetto di farci dimenticare il devastante rollio a cui siamo sottoposti, e la nostra condizione ne beneficia. In compenso non c’è verso di venire a capo del mistero delle chiazze sull’oceano. Le uniche ipotesi plausibili sono:

a. Davanti a noi c’è una petroliera che sta scaricando in acqua il suo prezioso carico.
b. Davanti a noi c’è un altro traghetto, e quel che vediamo è il risultato dell’ennesimo aperitivo offerto ai passeggeri.



Abbiamo dovuto rientrare in patria e affidare i nostri dubbi ad Internet per scoprire l’inghippo. In pratica la misteriosa marea rossiccia è circoscritta a questa particolare zona e periodo dell’anno. Stiamo infatti parlando di coralli e della loro simpatica modalità di riproduzione. In termini tecnici questa è altresì nota come riproduzione sincrona di massa. “Fra un periodo che varia da ore a giorni, molte specie liberano i loro gameti contemporaneamente. Questo è chiamato"swamping" (inondazione). I pacchetti uovo-sperma galleggiano e formano macchie sulla superficie d'acqua che può andare alla deriva per giorni, allontanandosi così molti chilometri dal luogo di rilascio. Galleggiando così insieme, dopo la rottura dei pacchetti d'uovo-sperma, la probabilità che la fertilizzazione avvenga è più grande e interessa un’area molto estesa”. (www.reefkeeping.com)

Quante cose belle abbiamo appreso in Australia!

mercoledì 10 febbraio 2010

Capitolo 49 Duello sul ponte.

Sarà che sono le sette del mattino, sarà che come realtà è assolutamente piccina, ma l'aeroporto di Gladstone mi appare come un posto deserto ed inospitale. Siamo arrivati prima noi di tutti gli impiegati dei vari negozi al suo interno. Ci accomodiamo sulle poche poltroncine, in paziente attesa del nostro trasporto verso l'imbarco. Lentamente inizia a fiorire anche la vita attorno a noi. Il bar apre i battenti, i rappresentanti delle varie agenzie di noleggio auto entrano e vanno a fare gli splendidi a turno con la barista, addirittura qualche uomo d'affari in inappuntabile giacca e cravatta si azzarda fino alla biglietteria. Ho finito le immagini per dire che “non ci è passato nulla” fino all'arrivo del pulmino. In compenso poi le emozioni non sono affatto mancate. Già la nostra driver è un personaggio non da poco. Bionda, affabile come un calzino sudato, guida con l'eleganza di chi ha saltato la spiegazione a scuola del concetto di traffico, pedoni e altri veicoli. E siccome tutto quello che potremmo chiedere al nostro passaggio è di ponarci sulle poltroncine e di chiudere gli occhi, affidandoci ad un autista attento e discreto, ecco che ci tocca scrutare la strada sperando che non capiti nessuno a tiro della pazza. In più, conscia di renderci un servizio impagabile, l'improponibile si appropria di un microfono e inizia a deliziarci con le meraviglie della cittadina. Che sono ben poche, ma lei ce le decanta a voce talmente alta che è impossibile annoiarsi, figurarsi pisolare. Quindi tutti svegli e incazzosi fino al porto, tutti tranne Barbara. Però io adesso so per filo e per segno le principali fonti di reddito di Gladstone (fanno i cucchiaini per le coppette gelato a Gladstone, lo sapevate?), e che la nostra cara anfitriona si chiamava C. ed era una neozelandese trapiantata lì da x anni. Mia moglie invece tutto questo non lo ricorda. Ben le sta!

Goin' my way

Ma la parte più dura del nostro procedere verso i paradisi tropicali deve ancora arrivare. Dopo il logorroico ed incomprensibile tassista di Brisbane, il volo notturno e la sosta forzata in aeroporto a Gladstone, dopo la simpatia e il calore umano della driver neozelandese, ci accingiamo spavaldi ad affrontare la traversa dell' oceano fino a Heron Island. Due ore di traghetto attraverso prima una tranquilla laguna, poi il caro e vecchio Pacifico. Sebbene il sole picchi decisamente troppo, scegliamo intrepidamente di rimanere sul ponte di poppa, un po' perché sottocoperta si rifugiano tutte le famigliole con bimbi di ogni età, un po' perché l'esperienza ci ha insegnato che in mare il nostro stomaco gradisce di più l'aperto. Davanti alla nostra panchina si insinuano tre giovincelle anglosassoni nei modi e nell'aspetto. Scatta la competizione. Dopo mezz'ora di viaggio la ciurma si esibisce in un goccio di sparkling wine offerto dalla compagnia. Sarà che non è ancora mezzogiorno, sarà che sono in clima da sfida, rifiuto gentilmente ma con fermezza. Le nostre tre dirimpettaie buttano giù il bicchiere con consumata abilità. All'interno vige un atmosfera da “Ma che bell'idea, che male vuoi che faccia un goccetto, anzi ci voleva con questo caldo...” La più scafata delle tre grazie, minigonna impegnativa su polpaccio importante inforca un Ipod e gioca la carta patatine tascabili in aggiunta al vinello. Sembra giovane ma evidentemente qualche piacere della vita se l'è già concesso. Mi piacerebbe capire quali le mancano ma mia moglie non è molto dell'idea. Ok, non si familiarizza con il nemico. Dopo un'ora di traversata dal nostro punto di osservazione non possiamo non notare come l'onda dell'oceano abbia prodotto dello sconquasso nelle viscere dei passeggeri sottocoperta. La ciurma si esibisce nel famoso balletto “porta i sacchetti di carta e ritirali riempiti”. Sono sempre di più le anime candide, dai volti ancora più candidi che escono a prendere una boccata d'aria fresca. Situazione delle tre ragazzotte: il boss sgranocchia crackers con l'aria annoiata. La brigante di destra appare provata ma resiste stolida al fianco del capo, negli occhi la battaglia fra il non ricevere biasimo, e il desiderio “viscerale” di rivedere la sua posizione sul vino frizzante. La brigante di sinistra invece è spatasciata a metà via fra una scialuppa di salvataggio e la balaustra che dà sul liberatorio oceano. Situazione famiglia Bonazzi: iniziamo ad essere provati.

lunedì 1 febbraio 2010

Capitolo 48 Tassisti di notte


Per fortuna che esiste il servizio di sveglia in camera, altrimenti, se fosse dipeso da me, il ca..o di aereo per la ca..o di isola dove dobbiamo andare poteva decollare tremila ca..o volte! Ho sonno, sono le 3.00 del mattino, non ho nemmeno fatto a tempo a capire che razza di letto ci avessero dato che già l'ho dovuto abbandonare. Meno male che in un attimo di lucidità avevamo già saldato il conto della stanza, perchè se dovessi fare di conto adesso sarei in grado di rimetterci il patrimonio senza troppi problemi. In realtà sarebbe da erigere una statua alla cara ragazza che ci ha accolto in serata, che oltre a farci il conto e fissarci il taxi, si è anche assicurata che il genio del suo collega del turno di notte riuscisse a chiamarci all'ora prefissata. Impresa che ritengo non di poco conto, dacchè seduto sul medesimo divanetto alla reception riesco ad intravedere un ragazzetto di non più di vent'anni totalmente rapito da quello che ritengo essere il canale erotico via cavo. Circondato dai miei troppi bagagli, mentre attendo il taxi e accarezzo la moglie che si è riassopita istantaneamente, penso a quanto sforzo dev'essergli costato abbandonare la poltrona e il confortevole porno per venire a tirarci giù dalla branda. La vita è un ca..o di inferno ragazzo mio, è giusto che tu lo sappia da subito!

Con il concetto che in questi casi è l'uomo che deve vegliare su ciò che gli è caro, Barbara non ha mobilitato tutto il reparto neuroni in dotazione, e si mantiene in uno stato semivegetativo per tutto il tragitto verso l'aeroporto, lasciandomi in balia del tassista. Peccato, perchè l'inizio era stato promettente:

200 kg di tassista: “Where are you going?”

La bella addormentata sul posto: “Yes!”

A quel punto ho dovuto prendere in mano le redini della conversazione, e mentre Barbara tornava con tutta la mia invidia fra le accoglienti braccia di Morfeo, mi sono sorbito mezz'ora di sproloqui del panzone buontempone. Non ho assolutamente memoria del colloquio intercorso, spero non si trattasse di nulla di così fondamentale, ricordo solo una terrificante pronuncia e una parlantina a mitraglietta che mal si conciliavano allo stato semi-catatonico in cui versavo. Alla fine in aeroporto ci siamo arrivati, e pure in perfetto orario, quindi immagino di essere stato sufficientemente chiaro, almeno al momento di indicargli la direzione. Tutto il resto, come si suol dire, è storia.

lunedì 25 gennaio 2010

Capitolo 47 Benvenuti ai tropici!

La prima cosa che ci colpisce di Brisbane è il cambio di clima. Siamo partiti in un ventilato pomeriggio primaverile da Sydney, e ci si era vestiti di conseguenza. In più abbiamo preso un aereo, che significa un importante bonus di felpa e giacchetta per sfuggire ai rigori dell'aria condizionata. Scendiamo dalla scaletta dell'aviomobile e subito mi rendo conto che ci sarà da soffrire. Ma rientro immediatamente in zona recupero bagagli e il microclima aeroportuale mi ricongela immendiatamente i foschi pensieri. Da lì si prende subito un comodo treno per il centro, quindi l'impatto brusco con il clima tropicale della città lo avvertiamo solo quando ormai siamo alla stazione. Faccio solo a tempo a togliere la giacca, siamo carichi di borse e zaini e aprirne uno in mezzo alla strada per cavarne maglietta e infradito sarebbe gradito ma ahimè, assai poco agevole. E siccome disagio chiama disagio, sono solo le 20 di sera e già ogni negozio, bar e catena di fast food della stazione sono ben chiusi e sprangati. Siamo nei guai.

A Brisbane abbiamo stabilito di fermarci solo poche ore, abbiamo l' aereo per Gladstone alle 5.30 del mattino, in pratica cenare, dormire un paio d'ore e prendere un taxi per l'aeroporto sarà la nostra massima concessione alle bellezze di questa città. E siccome assieme al pernottamento non è inclusa la cena, il trovare già i locali chiusi alle otto di sera rischia di farci saltare inopinatamente la prima parte del nostro piano. Quindi ci tocca correre all'hotel, a “soli” tre isolati dalla stazione, trascinandoci dietro i nostri bagagli, dal peso lievitato esponenzialmente man mano che le nostre vacanze procedono, in una nuvola di umidità che mi è familiare per i luoghi da cui provengo, ma che ero impreparato a gestire a questa latitudine.

Arriviamo all'hotel e alla receptionist si presenta una Barbara scarmigliata e in totale agitazione all'idea di saltare un pasto, al punto da dimenticare quasi interamente l'idioma locale. Il marito invece giace su uno dei divanetti all'ingresso, ansimando rumorosamente e con vistose pezzature da sudore laddove le cinghie dello zaino incontravano i troppi vestiti. Per fortuna la ragazzotta in questione è un vero angelo, un sorriso a 32 denti che spunta a malapena dal bancone, e che distoglie dal simpatico strabismo di Venere che in altri visi si sarebbe notato maggiormente. Ci piange il cuore doverle confessare che approfitteremo dei suoi servigi per pochissime ore, ci assicuriamo che ci fissi un taxi all'orario richiesto e saliamo in camera ad indossare abiti più adatti all'umido inferno che ci separa dalla cena.

E se il primo locale ci chiude le serrande in faccia, almeno il gestore ci indica un luogo dove potremmo trovare qualche punto di ristoro aperto dopo le 21.00. Corriamo all'incrocio indicato e ci troviamo in piena night life brisbanese. Una promenade di negozi e locali ad uso e consumo dei turisti. Una sorta di Via Bafile trasportata agli antipodi, frequentata da gente di ogni età e razza, mescolati fra loro in un crogiuolo di costumi dai colori accecanti e di infradito d'ordinanza. Il primo ristorante aperto che incontriamo sulla nostra rotta, guarda caso!, batte bandiera e insegne italiane. E sono ben le 21.15! Non c'è che dire, ovunque andiamo ci facciamo riconoscere come i gaudenti viveurs della notte che altro non siamo.

giovedì 21 gennaio 2010

Capitolo 46 Il passo dell'oca


Il nostro ultimo giorno nella metropoli ce lo spendiamo in shopping natalizio, girando i grandi centri commerciali di King George Street. In realtà le nostre spese sono assai modeste, poiché girare per una città che offre di tutto senza idee chiare in testa è controproducente. Finisce che passiamo più tempo ad ammirare le splendide decorazioni natalizie dei vari negozi che non a cercare con costrutto qualcosa di carino da portare ai nostri familiari. In questo delirio di disorganizzazione mi imbatto nel negozio di abbigliamento sportivo di David Campese. A chi come me è cresciuto in una cittadina veneta, a pane e soppressa, nebbia e palla ovale, spiegare il personaggio che porta tanto nome sarebbe offensivo. Ma avendo questo resoconto di viaggio l'assurda pretesa di un po' di internazionalità, almeno oltre il corso del Brenta, mi vedo costretto a scrivere giusto due righe di presentazione.

Potrei dire che Campese è stato uno dei giocatori più talentuosi che mai abbia calcato un prato verde. Un artista del rugby, recordman di segnature con la maglia della nazionale autraliana, che un bel giorno, stanco forse di spiegare gioco ai suoi conterranei decise di mettersi alla prova oltreoceano, sbarcando, fra lo stupore dei molti addetti ai lavori, nella città del Santo. E qui, come una stella del firmamento che, ottenuta la preziosa luce dal sole, inizia pur essa a sfavillare, così i giocatori in maglia nera del Petrarca, illuminati da cotanto cristallino talento, portarono alla causa energie e valore inaspettati, contribuendo a donare a Padova lo scudetto più prezioso, quello della Stella.

Ecco, questo è più o meno David Campese. Tolta la parte dei successi internazionali ovviamente. Che furono molti, ma questo al momento è superfluo. Fatto sta che il trovarmi inaspettatamente dinnanzi il suo negozio mi azzera la salivazione istantaneamente, facendomi dimenticare due cose non da poco: a) il fatto che ho girato questa città come un cretino alla ricerca di un negozio di maglie da rugby, mentre questo era semplicemente nella stessa via del mio hotel, se non dirimpetto. E b) che io e Barbara abbiamo fatto incetta di tutti i prodotti di tal foggia nei vari altri centri sportivi che abbiamo visitato, e che quindi non abbiamo alcun motivo serio per entrare. Ma la fabulazione dell'essere in viaggio di nozze colpisce ancora. Mi fisso in testa che dentro quel negozio c'è il mio idolo e devo assolutamente vederlo ancora. Mia moglie prova pazientemente a farmi osservare che si tratta con ogni probabilità di una catena, che ce ne saranno decine in tutta Sydney, migliaia in giro per il continente, e che sicuramente Mr. Campese ha di meglio da fare che non stare al bancone del suo negozio, in attesa che qualche sciroccato entri dalla porta per rompergli le scatole su quanto la sua grama vita abbia avuto almeno un minimo sussulto assistendo ad una sua partita. Non sento ragioni, io entro.

Mi precipito dalla commessa (Diamine, David non si vede!!) (Maledetta Barbara, Ha Sempre Ragione Lei!) ripassandomi mentalmente le corrette espressioni inglesi, e le chiedo dove potrei trovare il mio eroe. “Sudafrica” risponde lei tranquillamente. E' li che Mr. Campese risiede da che ha abbandonato le competizioni. Mannaggia, manco vicino ci sono andato. Pago il tributo al mio idolo fotografando mentalmente l'arredamento della bottega, le sue foto in campo, il famoso “passo dell'oca”, le varie maglie esposte, indossate da lui in avvenimenti prestigiosi, o donate da avversari di altrettanto nobile lignaggio rugbystico. Non è stato così inutile dopotutto. Se non altro sono di eccellente umore, il che rende meno duro il distacco da Sydney. E' tempo di affrontare l'ultima parte del viaggio, la settimana nell'isola tropicale. E' difficile andarsene da qui. E' veramente una città bellissima, e ci siamo trovati molto bene.

Fra una figura di merda e l'altra.

martedì 22 dicembre 2009

Capitolo 45 Trionfo di sapori

Vincendo la naturale diffidenza che i chirotteri ispirano alle donne di ogni età, ceto e provenienza, ci avviciniamo per studiare meglio lo strano connubio fra le piante secolari e questi notturni insettivori. In effetti il matrimonio pare non sia dei più felici: i pipistrelli hanno avuto inizialmente A questa meritoria azione ha fatto seguito uno spiacevole imprevisto, dovuto ad un'altra loro funzione, primaria e quanto mai necessaria..quella digestiva!

Streching my wings.. Anche per occhi poco esperti è impossibile non notare che il guano, prodotto in notevoli quantità dalle volpi volanti, sta arrecando danni gravissimi alle piante che li ospitano. Gran parte delle cime degli alberi appare infatti completamente spoglia e priva di foglie, un problema che i gestori del orto botanico probabilmente non avevano preso in considerazione al momento di concedere la cittadinanza del parco ai chirotteri un impatto più che positivo, per la loro funzione di impollinatori. Come se avessero capito che siamo troppo interessati a loro, i pipistrelli iniziano a mostrare segni di insofferenza e a lasciare i loro comodi giacigli. Del resto il sole si accinge a tramontare, è tempo di lasciare libero il loro territorio, e di andare pure noi a procacciarci del cibo. Ieri avevamo girato per i docks alla ricerca di un posticino carino per la nostra prima cena a Sydney. Si era optato per un ristorante tipico di queste parti, il “Bella Roma”. Di solito non ci lasciamo attrarre dalle lusinghe della cucina italiana quando siamo fuori dai nostri confini nazionali, ma il posto era oggettivamente interessante, aveva un tavolino libero sul patio esterno, particolare che nelle afose serate di Sydney non è da sottovalutare, e soprattutto la cameriera che ci ha tirato dentro per la giacchetta era il classico tipo al quale non è possibile dire di no.L' importante in questi casi è non farsi attrarre dalle lusinghe della nostalgia per i propri sapori natali, e mantenere un basso profilo, nel nostro caso ordinare qualcosa di non tipicamente italiano. Una saggia linea di comportamento che il cappellone oriundo nel tavolo di fianco al nostro decide di non seguire, e così, mentre si pavoneggia con la sua compagna di tavolo delle sue lontane origini penisolari, gli tocca sorbirsi la versione più annacquata e brodosa delle lasagne alla bolognese che abbia mai visto. Salmone per Barbara, bistecca per il sottoscritto. A posto così.

Oggi invece facciamo uno strappo alla regola e ci lasciamo attrarre dalla pizzeria sotto al nostro hotel. Oddio, rispetto alla simil-cartonata-surgelata che ci hanno propinato ad Adelaide, il prodotto che abbiamo degustato assomigliava assai di più al nostro piatto tradizionale. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla location: il patio esterno è tutto esaurito, quindi ci sbattono su di un tavolino interno, a ridosso del forno, un caldo orrendo che ci toglie qualsiasi desiderio di cibo e di baldoria. Usciamo a rivedere le stelle con malcelato sollievo.