Quello che non sappiamo è che dobbiamo ancora fare la conoscenza della specie di uccelli più invasiva, i Muttonbirds. Ogni tanto ai lati dei sentieri dei cartelli indicano dei buchi nel terreno dove questi simpatici alati pescatori hanno posto la loro residenza. Quando il sole volge al tramonto questi deliziosi pendolari del mare rientrano ai loro nidi e iniziano a cantarsi la ninna nanna l'uno con l'altro. Ogni coppia di turisti riceve in dotazione due paia di tappi auricolari per il sonno notturno. Infatti il canto notturno dei Muttonbirds si rivela particolarmente fastidioso e decisamente poco conciliatorio, tenendo conto del fatto che il rumore a cui più assomiglia è una metavia fra l'ululato dei coyote in amore e il pianto notturno dei neonati. Sospetto che questo micidiale mix, soprattutto nel secondo ingrediente, influisca in qualche subdolo modo sul subconscio delle donne sull' isola, se è vero che al mattino le occhiaie da sonno agitato sono molto più visibili sulle portatrici di cromosoma doppio x che non sui partners. Anche nel mio piccolo nido familiare la situazione notturna vede il sottoscritto dotato di tappi farsi delle grasse dormite a qualsiasi orario, mentre la moglie è costretta a recuperare al mattino o al pomeriggio le ore di sonno perse durante la notte.
martedì 23 marzo 2010
Capitolo 51 For the Birds
martedì 16 febbraio 2010
Capitolo 50 Familiarizzare con lo "Swamping"

mercoledì 10 febbraio 2010
Capitolo 49 Duello sul ponte.
Sarà che sono le sette del mattino, sarà che come realtà è assolutamente piccina, ma l'aeroporto di Gladstone mi appare come un posto deserto ed inospitale. Siamo arrivati prima noi di tutti gli impiegati dei vari negozi al suo interno. Ci accomodiamo sulle poche poltroncine, in paziente attesa del nostro trasporto verso l'imbarco. Lentamente inizia a fiorire anche la vita attorno a noi. Il bar apre i battenti, i rappresentanti delle varie agenzie di noleggio auto entrano e vanno a fare gli splendidi a turno con la barista, addirittura qualche uomo d'affari in inappuntabile giacca e cravatta si azzarda fino alla biglietteria. Ho finito le immagini per dire che “non ci è passato nulla” fino all'arrivo del pulmino. In compenso poi le emozioni non sono affatto mancate. Già la nostra driver è un personaggio non da poco. Bionda, affabile come un calzino sudato, guida con l'eleganza di chi ha saltato la spiegazione a scuola del concetto di traffico, pedoni e altri veicoli. E siccome tutto quello che potremmo chiedere al nostro passaggio è di ponarci sulle poltroncine e di chiudere gli occhi, affidandoci ad un autista attento e discreto, ecco che ci tocca scrutare la strada sperando che non capiti nessuno a tiro della pazza. In più, conscia di renderci un servizio impagabile, l'improponibile si appropria di un microfono e inizia a deliziarci con le meraviglie della cittadina. Che sono ben poche, ma lei ce le decanta a voce talmente alta che è impossibile annoiarsi, figurarsi pisolare. Quindi tutti svegli e incazzosi fino al porto, tutti tranne Barbara. Però io adesso so per filo e per segno le principali fonti di reddito di Gladstone (fanno i cucchiaini per le coppette gelato a Gladstone, lo sapevate?), e che la nostra cara anfitriona si chiamava C. ed era una neozelandese trapiantata lì da x anni. Mia moglie invece tutto questo non lo ricorda. Ben le sta!
Ma la parte più dura del nostro procedere verso i paradisi tropicali deve ancora arrivare. Dopo il logorroico ed incomprensibile tassista di Brisbane, il volo notturno e la sosta forzata in aeroporto a Gladstone, dopo la simpatia e il calore umano della driver neozelandese, ci accingiamo spavaldi ad affrontare la traversa dell' oceano fino a Heron Island. Due ore di traghetto attraverso prima una tranquilla laguna, poi il caro e vecchio Pacifico. Sebbene il sole picchi decisamente troppo, scegliamo intrepidamente di rimanere sul ponte di poppa, un po' perché sottocoperta si rifugiano tutte le famigliole con bimbi di ogni età, un po' perché l'esperienza ci ha insegnato che in mare il nostro stomaco gradisce di più l'aperto. Davanti alla nostra panchina si insinuano tre giovincelle anglosassoni nei modi e nell'aspetto. Scatta la competizione. Dopo mezz'ora di viaggio la ciurma si esibisce in un goccio di sparkling wine offerto dalla compagnia. Sarà che non è ancora mezzogiorno, sarà che sono in clima da sfida, rifiuto gentilmente ma con fermezza. Le nostre tre dirimpettaie buttano giù il bicchiere con consumata abilità. All'interno vige un atmosfera da “Ma che bell'idea, che male vuoi che faccia un goccetto, anzi ci voleva con questo caldo...” La più scafata delle tre grazie, minigonna impegnativa su polpaccio importante inforca un Ipod e gioca la carta patatine tascabili in aggiunta al vinello. Sembra giovane ma evidentemente qualche piacere della vita se l'è già concesso. Mi piacerebbe capire quali le mancano ma mia moglie non è molto dell'idea. Ok, non si familiarizza con il nemico. Dopo un'ora di traversata dal nostro punto di osservazione non possiamo non notare come l'onda dell'oceano abbia prodotto dello sconquasso nelle viscere dei passeggeri sottocoperta. La ciurma si esibisce nel famoso balletto “porta i sacchetti di carta e ritirali riempiti”. Sono sempre di più le anime candide, dai volti ancora più candidi che escono a prendere una boccata d'aria fresca. Situazione delle tre ragazzotte: il boss sgranocchia crackers con l'aria annoiata. La brigante di destra appare provata ma resiste stolida al fianco del capo, negli occhi la battaglia fra il non ricevere biasimo, e il desiderio “viscerale” di rivedere la sua posizione sul vino frizzante. La brigante di sinistra invece è spatasciata a metà via fra una scialuppa di salvataggio e la balaustra che dà sul liberatorio oceano. Situazione famiglia Bonazzi: iniziamo ad essere provati.
lunedì 1 febbraio 2010
Capitolo 48 Tassisti di notte

Con il concetto che in questi casi è l'uomo che deve vegliare su ciò che gli è caro, Barbara non ha mobilitato tutto il reparto neuroni in dotazione, e si mantiene in uno stato semivegetativo per tutto il tragitto verso l'aeroporto, lasciandomi in balia del tassista. Peccato, perchè l'inizio era stato promettente:
200 kg di tassista: “Where are you going?”
La bella addormentata sul posto: “Yes!”
A quel punto ho dovuto prendere in mano le redini della conversazione, e mentre Barbara tornava con tutta la mia invidia fra le accoglienti braccia di Morfeo, mi sono sorbito mezz'ora di sproloqui del panzone buontempone. Non ho assolutamente memoria del colloquio intercorso, spero non si trattasse di nulla di così fondamentale, ricordo solo una terrificante pronuncia e una parlantina a mitraglietta che mal si conciliavano allo stato semi-catatonico in cui versavo. Alla fine in aeroporto ci siamo arrivati, e pure in perfetto orario, quindi immagino di essere stato sufficientemente chiaro, almeno al momento di indicargli la direzione. Tutto il resto, come si suol dire, è storia.
lunedì 25 gennaio 2010
Capitolo 47 Benvenuti ai tropici!
La prima cosa che ci colpisce di Brisbane è il cambio di clima. Siamo partiti in un ventilato pomeriggio primaverile da Sydney, e ci si era vestiti di conseguenza. In più abbiamo preso un aereo, che significa un importante bonus di felpa e giacchetta per sfuggire ai rigori dell'aria condizionata. Scendiamo dalla scaletta dell'aviomobile e subito mi rendo conto che ci sarà da soffrire. Ma rientro immediatamente in zona recupero bagagli e il microclima aeroportuale mi ricongela immendiatamente i foschi pensieri. Da lì si prende subito un comodo treno per il centro, quindi l'impatto brusco con il clima tropicale della città lo avvertiamo solo quando ormai siamo alla stazione. Faccio solo a tempo a togliere la giacca, siamo carichi di borse e zaini e aprirne uno in mezzo alla strada per cavarne maglietta e infradito sarebbe gradito ma ahimè, assai poco agevole. E siccome disagio chiama disagio, sono solo le 20 di sera e già ogni negozio, bar e catena di fast food della stazione sono ben chiusi e sprangati. Siamo nei guai.
A Brisbane abbiamo stabilito di fermarci solo poche ore, abbiamo l' aereo per Gladstone alle 5.30 del mattino, in pratica cenare, dormire un paio d'ore e prendere un taxi per l'aeroporto sarà la nostra massima concessione alle bellezze di questa città. E siccome assieme al pernottamento non è inclusa la cena, il trovare già i locali chiusi alle otto di sera rischia di farci saltare inopinatamente la prima parte del nostro piano. Quindi ci tocca correre all'hotel, a “soli” tre isolati dalla stazione, trascinandoci dietro i nostri bagagli, dal peso lievitato esponenzialmente man mano che le nostre vacanze procedono, in una nuvola di umidità che mi è familiare per i luoghi da cui provengo, ma che ero impreparato a gestire a questa latitudine.
Arriviamo all'hotel e alla receptionist si presenta una Barbara scarmigliata e in totale agitazione all'idea di saltare un pasto, al punto da dimenticare quasi interamente l'idioma locale. Il marito invece giace su uno dei divanetti all'ingresso, ansimando rumorosamente e con vistose pezzature da sudore laddove le cinghie dello zaino incontravano i troppi vestiti. Per fortuna la ragazzotta in questione è un vero angelo, un sorriso a 32 denti che spunta a malapena dal bancone, e che distoglie dal simpatico strabismo di Venere che in altri visi si sarebbe notato maggiormente. Ci piange il cuore doverle confessare che approfitteremo dei suoi servigi per pochissime ore, ci assicuriamo che ci fissi un taxi all'orario richiesto e saliamo in camera ad indossare abiti più adatti all'umido inferno che ci separa dalla cena.
E se il primo locale ci chiude le serrande in faccia, almeno il gestore ci indica un luogo dove potremmo trovare qualche punto di ristoro aperto dopo le 21.00. Corriamo all'incrocio indicato e ci troviamo in piena night life brisbanese. Una promenade di negozi e locali ad uso e consumo dei turisti. Una sorta di Via Bafile trasportata agli antipodi, frequentata da gente di ogni età e razza, mescolati fra loro in un crogiuolo di costumi dai colori accecanti e di infradito d'ordinanza. Il primo ristorante aperto che incontriamo sulla nostra rotta, guarda caso!, batte bandiera e insegne italiane. E sono ben le 21.15! Non c'è che dire, ovunque andiamo ci facciamo riconoscere come i gaudenti viveurs della notte che altro non siamo.
giovedì 21 gennaio 2010
Capitolo 46 Il passo dell'oca
Il nostro ultimo giorno nella metropoli ce lo spendiamo in shopping natalizio, girando i grandi centri commerciali di King George Street. In realtà le nostre spese sono assai modeste, poiché girare per una città che offre di tutto senza idee chiare in testa è controproducente. Finisce che passiamo più tempo ad ammirare le splendide decorazioni natalizie dei vari negozi che non a cercare con costrutto qualcosa di carino da portare ai nostri familiari. In questo delirio di disorganizzazione mi imbatto nel negozio di abbigliamento sportivo di David Campese. A chi come me è cresciuto in una cittadina veneta, a pane e soppressa, nebbia e palla ovale, spiegare il personaggio che porta tanto nome sarebbe offensivo. Ma avendo questo resoconto di viaggio l'assurda pretesa di un po' di internazionalità, almeno oltre il corso del Brenta, mi vedo costretto a scrivere giusto due righe di presentazione.

Potrei dire che Campese è stato uno dei giocatori più talentuosi che mai abbia calcato un prato verde. Un artista del rugby, recordman di segnature con la maglia della nazionale autraliana, che un bel giorno, stanco forse di spiegare gioco ai suoi conterranei decise di mettersi alla prova oltreoceano, sbarcando, fra lo stupore dei molti addetti ai lavori, nella città del Santo. E qui, come una stella del firmamento che, ottenuta la preziosa luce dal sole, inizia pur essa a sfavillare, così i giocatori in maglia nera del Petrarca, illuminati da cotanto cristallino talento, portarono alla causa energie e valore inaspettati, contribuendo a donare a Padova lo scudetto più prezioso, quello della Stella.
Ecco, questo è più o meno David Campese. Tolta la parte dei successi internazionali ovviamente. Che furono molti, ma questo al momento è superfluo. Fatto sta che il trovarmi inaspettatamente dinnanzi il suo negozio mi azzera la salivazione istantaneamente, facendomi dimenticare due cose non da poco: a) il fatto che ho girato questa città come un cretino alla ricerca di un negozio di maglie da rugby, mentre questo era semplicemente nella stessa via del mio hotel, se non dirimpetto. E b) che io e Barbara abbiamo fatto incetta di tutti i prodotti di tal foggia nei vari altri centri sportivi che abbiamo visitato, e che quindi non abbiamo alcun motivo serio per entrare. Ma la fabulazione dell'essere in viaggio di nozze colpisce ancora. Mi fisso in testa che dentro quel negozio c'è il mio idolo e devo assolutamente vederlo ancora. Mia moglie prova pazientemente a farmi osservare che si tratta con ogni probabilità di una catena, che ce ne saranno decine in tutta Sydney, migliaia in giro per il continente, e che sicuramente Mr. Campese ha di meglio da fare che non stare al bancone del suo negozio, in attesa che qualche sciroccato entri dalla porta per rompergli le scatole su quanto la sua grama vita abbia avuto almeno un minimo sussulto assistendo ad una sua partita. Non sento ragioni, io entro.
Mi precipito dalla commessa (Diamine, David non si vede!!) (Maledetta Barbara, Ha Sempre Ragione Lei!) ripassandomi mentalmente le corrette espressioni inglesi, e le chiedo dove potrei trovare il mio eroe. “Sudafrica” risponde lei tranquillamente. E' li che Mr. Campese risiede da che ha abbandonato le competizioni. Mannaggia, manco vicino ci sono andato. Pago il tributo al mio idolo fotografando mentalmente l'arredamento della bottega, le sue foto in campo, il famoso “passo dell'oca”, le varie maglie esposte, indossate da lui in avvenimenti prestigiosi, o donate da avversari di altrettanto nobile lignaggio rugbystico. Non è stato così inutile dopotutto. Se non altro sono di eccellente umore, il che rende meno duro il distacco da Sydney. E' tempo di affrontare l'ultima parte del viaggio, la settimana nell'isola tropicale. E' difficile andarsene da qui. E' veramente una città bellissima, e ci siamo trovati molto bene.
Fra una figura di merda e l'altra.
martedì 22 dicembre 2009
Capitolo 45 Trionfo di sapori

Oggi invece facciamo uno strappo alla regola e ci lasciamo attrarre dalla pizzeria sotto al nostro hotel. Oddio, rispetto alla simil-cartonata-surgelata che ci hanno propinato ad Adelaide, il prodotto che abbiamo degustato assomigliava assai di più al nostro piatto tradizionale. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla location: il patio esterno è tutto esaurito, quindi ci sbattono su di un tavolino interno, a ridosso del forno, un caldo orrendo che ci toglie qualsiasi desiderio di cibo e di baldoria. Usciamo a rivedere le stelle con malcelato sollievo.