martedì 13 aprile 2010

Capitolo 54 Shark Bay

Per il nostro primo assaggio di oceano e spiaggia ieri pomeriggio ci siamo affidati al caso. Man’s Style. Quindi oggi tocca alla programmatrice-e-scrupolosa-ai-limiti-della-pedanteria parte femminile della coppia studiare e scegliere il posto migliore dell’isola per il nostro spiaggiamento. Gli indigeni compilano giornalmente un esauriente bacheca segnalando fasi della luna, conseguenti maree, orari delle varie escursioni sui coralli (via mare, con bombole, snorkeling assistito oppure gita a piedi con bassa marea.) e degli eventi mondani. In più vengono segnalate le specie più pericolose che può capitarci di incontrare, dai molluschi velenosi, ai coralli perniciosi, ai pesci urticanti e accorcia vita. Nessun cenno alle meduse. Sappiamo che esistono alcune specie, in questa zona, tanto piccole da passare a volte attraverso le reti che, nei periodi di migrazione, vengono messe al largo a protezione delle acque frequentate dai turisti, e che perciò risultano anche molto difficili da avvistare in tempo. E giustamente sono letali. A precisa domanda ci rispondono che ancora non è periodo, non dovremmo incontrarne, di meduse ce ne sono, ma solo quelle innocue, il cui tocco è fastidioso ma non letale, cosa che per gli standard di questa zona significa che sono"assolutamente innocue!". Rassicurante. In compenso raccomandano come angolo migliore per la balneazione Shark bay. Il nome è tutto un programma, ma il fatto che si trovi sulla punta estrema dell’isola, vagamente defilata dal resort mi fa desiderare di provarla. Attraversiamo la foresta di Pisonia, suscitando le grida di indignazione dei vari pennuti che disturbiamo, e sbuchiamo presso una magnifica spiaggia semi deserta. Il paradiso. Sabbia bianca. Mare di ogni colore fino all’orizzonte, cielo terso e sole che spacca. La Baia degli Squali entra prepotentemente nella classifica dei luoghi più belli mai visitati. Mi concedo al sole il tempo necessario a smaltire la colazione, dopodiché sono pronto per la sessione mattutina di snorkeling. Sfodero il mio fisico bestiale, acchiappo la fedele maschera, le pinne e la macchina fotografica subacquea e mi lancio verso l’oceano. Due passi di ambientamento e una pinna sospetta transita ad un paio di metri da me.

Shark zone

Compio l’intera distanza che mi separa dal basciasciuga in un unico balzo, urlando al contempo frasi sconnesse e seminando la mia attrezzatura in un raggio di cinque metri. Macheccacchio, e io che pensavo che Shark Bay fosse solo un nomignolo roboante e esotico! Alla faccia! Situazione: nella successiva mezz’ora io e Barbara avvistiamo un altro paio di pescecani di circa un metro e mezzo di lunghezza, che vanno a zonzo a pochi metri dal bagnasciuga. Più un numero imprecisato di quelle che sembrano proprio essere razze, e una manta che saltella al largo. Il nostro desiderio di fare il bagno è sceso a livelli di guardia, ma tutte le altre persone che si trovano in questo tratto di spiaggia sono in acqua, e sembrano godere di ottima salute. Anzi, i più divertiti sono i bambini che fra loro giocano ad avvistare e rincorrere gli squali sotto gli occhi vigili ma divertiti dei genitori. Dannazione, se i bimbi australiani fanno il bagno con questi pesci rossi troppo cresciuti vuoi che io sia da meno?! Diamine, no! Mi tuffo. Non devo nemmeno aspettare troppo. E’ pur vero che l’acqua e la maschera tendono a restituire un’ immagine un po’ ingrandita rispetto alle reali dimensioni, però non faccio a tempo a fare un paio di bracciate che mi attraversa la corsia un esemplare di quasi due metri. Non voglio fare il pescatore delle barzellette, quello che pesca una sardina e dichiara un tonno per intenderci, quindi vedrò di essere quanto più chiaro possibile. Supponendo per assurdo che il pescetto, vedendo la notevole quantità di carne che mi porto appesa ai fianchi, desiderasse farsi uno spuntino prima di pranzo, plausibilmente avrei avuto ampie possibilità di cavarmela. Certo, magari senza un braccio, o una gamba, però non ho esattamente incontrato lo squalo di Spielberg. Un fratellino piccolo di un metro e mezzo/due, pacifico e sereno com’ero io prima di entrare in acqua, questo ho trovato. E basta e cresce!

mercoledì 7 aprile 2010

Capitolo 53 For the Birds part 2

Mi sveglio insopportabilmente presto per un neo marito in vacanza. E’ sempre così. A casa un imprescindibile impegno lavorativo e due sveglie non bastano a buttarmi giù dal letto. In vacanza la mia sveglia interna inizia a suonare alle sette. “Mah, meglio così del contrario!”, mi dico mentre osservo la mia dolce metà finalmente riposare dopo la lotta notturna con tappi e urla dei Muttonbirds. In fondo la prospettiva di immergermi in acque limpide, circondato da pesci di ogni tipo e tartarughe marine, ben giustifica una levataccia. Ma non ho cuore di svegliare Barbara. Esco sulla veranda e cerco di ammazzare il tempo osservando i rituali delle varie specie di uccelli che girano nei dintorni. Uno degli aspetti più rilevanti del mio bird watching mattutino è che non so quanti altri appassionati di ornitologia lo pratichino in boxer e maglietta su di una sdraio. L’altro, più attinente, è che il re dell’isola, ovvero l’airone del Pacifico, è un sovrano assai poco amato dai propri sudditi. Non riesco proprio a spiegarmi l’ostilità con cui i generalmente pacifici Black Noddy accolgono gli aironi quando questi si posano sui rami degli alberi di Pisonia. Da totalmente ignorante delle interazioni sociali fra le varie specie di pennuti, formulo un paio di ipotesi che non solo mi sembrano plausibili, la qual cosa alle sette del mattino mi rende fiero di me stesso come poche volte mi succede, ma che hanno anche l’indubbio pregio di non essere smentibili, almeno nel breve periodo, e senza un’esperto/wikipedia nelle vicinanze. La mia impressione è che il grosso e goffo airone si posi sui rami con ben altra invasività rispetto ad altri uccelli ben più piccoli ed agili. Da qui le loro (giustamente!) seccate rimostranze. A maggior ragione se si considera che, a quanto posso vedere, gli aironi possono pur andare a posarsi da altre parti, mentre le testine bianche sono bloccate a guardia dei loro nidi e dei loro piccini. Pensate a quanto è fragile la loro dimora, per quanto ben costruita e tenuta assieme da abbondanti e ripetute colate di cemento naturalmente prodotto. Pensate al fatto che se un uovo, o peggio, un piccolo cade dal nido non c’è nessuna forza in natura che può ridarlo alla madre. Pensate che sotto agli alberi stanno in agguato predatori di ogni genere, tra tutti il subdolo gabbiano e capirete quanto scompiglio e terrore possa portare uno sgraziato airone di un metro fra queste fronde. Sono ancora intento a farmi i complimenti per tutto il mio acume quando accade qualcosa che mi riporta, è il caso di dirlo!, con i piedi per terra.

White moves first always..
..E il grande airone bianco si pappò il piccolo Black Noddy sotto gli occhi inorriditi del Vostro reporter..


E mentre documento il tutto, esorcizzandolo dietro alle lenti della mia reflex, non posso fare a meno di riflettere su quanto poco sapessi della dieta degli aironi e, di conseguenza, quanto le mie teorie sociologiche siano professionalmente valide quanto una banconota da sette euro. Si dà il caso infatti che il re dell’isola non disdegni rimpinguare il suo menù con qualche implume pargolo di Black Noddy, e che questa sua perversione alimentare basti a giustificare la paura degli uccelli più piccoli quand’esso plani nelle vicinanze dei loro scoperti appartamenti. Per essere giorno da così poche ore ho già preso un granchio non da poco. Sveglio la riluttante compagna e la convinco ad accompagnarmi al bar per mangiare qualcos’altro, oltre al mio smisurato ego frustrato.